ADOLFO TANQUEREY
Compendio di Teologia Ascetica e Mistica
PARTE SECONDA
Le Tre Vie
LIBRO I
La purificazione dell'anima
o la via purgativa
Lotta contro le tentazioni.
900. Non ostante gli sforzi per sradicare i vizi, possiamo e dobbiamo aspettarci la tentazione. Abbiamo infatti nemici spirituali, la concupiscenza, il mondo e il demonio, n. 193-227, che non cessano di tenderci insidie. Dobbiamo quindi trattar della tentazione, sia della tentazione in generale, sia delle principali tentazioni degli'incipienti.
ART. I. DELLA TENTAZIONE IN GENERALE 901-1.
901. La tentazione è una sollecitazione al male proveniente dai nostri nemici spirituali. Esporremo:
I. I fini provvidenziali della tentazione.
902. Dio direttamente non ci tenta: "Nessuno dica, quando è tentato: È Dio che mi tenta, poichè Dio non è tentato al male nè tenta" 902-1. Permette che siamo tentati dai nostri nemici spirituali, dandoci però le grazie necessarie per resistere: "Fidelis est Deus qui non patietur vos tentari supra id quod potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum" 902-2. E ne ha ottime ragioni.
1° Ci vuole far meritare il paradiso. Avrebbe certo potuto concederci il cielo come dono; ma sapientemente volle che lo meritassimo come ricompensa. Vuole anzi che la ricompensa sia proporzionata al merito e quindi alla vinta difficoltà. Ora è certo che una delle difficoltà più penose è la tentazione, che mette in pericolo la fragile nostra virtù. Combatterla energicamente è uno degli atti più meritori; e quando, con la grazia di Dio, ne usciamo trionfanti, possiamo dire con S. Paolo che abbiamo combattuto il buon combattimento e che altro non ci resta se non ricevere la corona di giustizia preparataci da Dio. L'onore e la gioia nel possederla sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà stata la fatica per meritarla.
903. 2° La tentazione è pure un mezzo di purificazione. 1) Ci ricorda infatti che altre volte, per difetto di vigilanza e d'energia, siamo caduti, onde ci è occasione di rinnovare atti di contrizione, di confusione e di umiliazione, che contribuiscono a purificarci l'anima; 2) ci obbliga nello stesso tempo a vigorosi e perseveranti sforzi per non soccombere, onde ci fa espiare con atti contrari le debolezze e le male condiscendenze, il che rende l'anima più pura. Ecco perchè Dio, quando vuole purificare un'anima per elevarla alla contemplazione, permette che subisca orribili tentazioni, come diremo trattando della via unitiva.
904. 3° È poi un mezzo di spirituale progresso. a) La tentazione è come una frustata che ci desta nel momento in cui stavamo per addormentarci e rattiepidirci; ci fa capire la necessità di non fermarci a mezzo il cammino, ma mirare più in alto, a fine di allontanar più sicuramente ogni pericolo.
b) È pure una scuola d'umiltà, di diffidenza di sè: si capisce meglio la propria fragilità, la propria impotenza, si sente maggiormente il bisogno della grazia e si prega con più fervore. Si vede meglio la necessità di mortificare l'amor del piacere che è fonte di tentazioni, onde si abbracciano con maggior generosità le piccole croci quotidiane per smorzare l'ardore della concupiscenza.
c) È una scuola d'amor di Dio: perchè uno, a più sicuramente resistere, si getta nelle braccia di Dio per trovarvi forza e protezione; è riconoscente delle grazie che Dio gli concede; si comporta con lui come figlio che, in ogni difficoltà, ricorre al più amante dei padri.
La tentazione ha dunque molti vantaggi ed è per questo che Dio permette che i suoi amici siano tentati: "perchè eri gradito a Dio, disse l'angelo a Tobia, fu necessario che la tentazione ti provasse; quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te" 904-1.
II. La psicologia della tentazione.
Descriveremo:
905. 1° Frequenza delle tentazioni. La frequenza e la violenza delle tentazioni variano grandemente: vi sono anime spesso e violentemente tentate; altre lo sono raramente e senza profonde scosse. Molte cause spiegano questa diversità.
a) Prima di tutto il temperamento e il carattere: vi sono persone, facilissime ad appassionarsi e nello stesso tempo deboli di volontà, tentate di spesso e dalla tentazione sconvolte; altre poi bene assestate ed energiche sono tentate di raro e in mezzo alla tentazione si serbano calme.
b) L'educazione porta altre differenze: vi sono anime educate nel timore e nell'amor di Dio, nella pratica abituale ed austera del dovere, che non ricevettero se non buoni esempi; altre invece furono allevate nell'amor dei piaceri e nel ribrezzo d'ogni patimento e videro troppi esempi di vita mondana e sensuale. È chiaro che le seconde saranno tentate più violentemente delle prime.
c) Bisogna anche tener conto dei disegni provvidenziali di Dio: vi sono anime da lui chiamate a santa vocazione, la cui purità egli gelosamente preserva; ve ne sono altre da lui destinate pure alla santità, ma che vuole far passare per dure prove onde rinsaldarne la virtù; altre infine che non chiama a vocazione così alta e che saranno tentate più spesso, benchè mai al di sopra delle loro forze.
906. 2° Le tre fasi della tentazione. Secondo la dottrina tradizionale, esposta già da S. Agostino, nella tentazione vi sono tre fasi: la suggestione, la dilettazione, il consenso.
a) La suggestione consiste nella proposta di qualche male: la fantasia o la mente si rappresenta, in modo più o meno vivo, le attrattive del frutto proibito; talvolta questa rappresentazione è molto seducente, assale con tenacia e diventa una specie d'ossessione. Per quanto pericolosa sia, la suggestione non è peccato, purchè non sia stata volontariamente provocata e non vi si acconsenta; non vi è colpa se non quando la volontà vi dà consenso.
b) Alla suggestione s'aggiunge la dilettazione: la parte inferiore dell'anima piega istintivamente verso il male suggerito e ne prova un certo diletto. "Avviene molte volte, dice S. Francesco di Sales 906-1, che la parte inferiore si compiace nella tentazione senza il consenso, anzi a dispetto della parte superiore. È la lotta descritta da S. Paolo quando dice che la carne ha desideri contrari allo spirito". Questa dilettazione della aprte inferiore, finchè la volontà non vi aderisce, non è peccato; ma è un pericolo, perchè la volontà si trova così sollecitata a dar l'adesione; onde si pone l'alternativa: la volontà acconsentirà sì o no?
c) Se la volontà rifiuta il consenso, combatte la tentazione e la respinge, esce vittoriosa e fa atto molto meritorio. Se invece si compiace nella dilettazione, vi prende volontario piacere e vi consente, il peccato interno è commesso.
Quindi tutto dipende dal libero consenso della volontà, onde noi, per maggior chiarezza, indicheremo i segni da cui si può conoscere se e in quale misura si è acconsentito.
907. 3° Segni di consenso. A spiegar meglio questo punto importante, vediamo i segni di non consenso, di consenso imperfetto, di pieno consenso.
a) Si può tenere che non si è acconsentito, quando, non ostante la suggestione e l'istintivo diletto che l'accompagna, si prova disgusto e noia in vedersi così tentati; quando si lotta per non soccombere; quando nella parte superiore dell'anima si ha vivo orrore del male proposto 907-1.
b) Si può essere colpevoli in causa della tentazione, quando uno si prevede che questa o quell'azione, che possiamo evitare, ci sarà fonte di tentazioni: "Se so, dice S. Francesco di Sales, 907-2 che una conversazione mi è causa di tentazione e di caduta, eppure ci vado di mia volontà; io sono indubbiamente colpevole di tutte le tentazioni che vi proverò". Ma non si è allora colpevoli che secondo la previsione, e se la previsione è stata vaga e confusa, la colpevolezza diminuisce in proporzione.
908. c) Il consenso si può giudicare imperfetto:
1) Quando non si respinge la tentazione prontamente, appena se ne vede il pericolo; 908-1 vi è colpa di imprudenza che, senza essere grave, espone al pericolo di acconsentire alla tentazione.
2) Quando si esita un istante: si vorrebbe gustare un pochino il proibito diletto ma senza offendere Dio; ossia, dopo un momento di esitazione, si respinge la tentazione; anche qui è colpa veniale d'imprudenza.
3) Quando non si respinge la tentazione che a metà: si resiste ma fiaccamente e imperfettamente; ora una mezza resistenza è un mezzo consenso: quindi colpa veniale.
909. d) Il consenso è pieno ed intiero, quando la volontà, indebolita dalle prime concessioni, si lascia trascinare a gustar volontariamente il cattivo diletto non ostante le proteste della coscienza che riconosce che è male; allora, se la materia è grave, il peccato è mortale: è peccato di pensiero o di dilettazione morosa, come dicono i teologi. Se al pensieri si aggiunge il desiderio acconsentito, è colpa più grave. Se poi dal desiderio di passa all'esecuzione, o almeno alla ricerca e alla provvisione dei mezzi alli all'esecuzione del proprio disegno, si ha peccato di opera.
910. Nei vari casi che abbiamo esposti, sorgono qualche volta dubbi sul consenso o sul semiconsenso dato. Bisogna allora distinguere tra conscienze delicate e coscienze lasse; nel primo caso si giudica che non ci sia stato consenso, perchè la persona di cui si tratta è solita a non acconsentire; mentre nel secondo caso si dovrà fare giudizio tutto contrario.
III. Il modo di comportarsi nella tentazione.
Per trionfare delle tentazioni e farle servire al nostro bene spirituale, occorrono tre cose principali:
911. 1° Prevenire la tentazione. È noto il proverbio: è meglio prevenire che guarire, che è pure consiglio di cristiana sapienza. Conducendo i tre apostoli nell'interno del giardino degli Ulivi, Nostro Signore dice loro: "Vigilate e pregate onde non entriate in tentazione: vigilate et orate ut non intretis in tentationem" 911-1; vigilanza e preghiera: ecco dunque i due grandi mezzi a prevenire la tentazione.
912. A) Vigilare è far la guardia attorno all'anima propria per non lasciarsi cogliere, essendo così facile soccombere in un momento di sorpresa! Questa vigilanza inchiude due principali disposizioni: la diffidenza di sè e la confidenza in Dio.
a) Bisogna quindi evitare quella orgogliosa presunzione che ci fa gettare in mezzo ai pericoli col pretesto che siamo abbastanza forti da trionfarne. Fu questo il peccato di S. Pietro, che, mentre Nostro Signore prediceva la fuga degli apostoli, esclamò: "Se anche tutti si scandalizzassero, io mai" 912-1. Bisogna invece rammentarsi che colui che crede di stare in piedi deve badare a non cadere: "Itaque qui se existimat stare, videat ne cadat"; 912-2 perchè se lo spirito è pronto, la carne è debole, e la sicurezza non si trova che nell'umile diffidenza della propria debolezza.
b) Ma bisogna pure chivare quei vani terrori che non fanno che accrescere il pericolo; da noi, è vero, siamo deboli, ma diventiamo invincibili in Colui che ci dà forza: "Fedele è Dio, che non permetterà che siate tentati oltre le forze, ma darà con la tentazione anche il modo di poterla sostenere" 912-3.
c) Questa giusta diffidenza di noi ci fa schivare le occasioni pericolose, per esempio quella compagnia, quel divertimento, ecc., in cui l'esperienza ci mostrò che corriamo rischio di soccombere. Combatte l'oziosità, che è una delle occasioni più pericolose, n. 885, come pure quell'abituale mollezza che rilassa tutte le forze della volontà e la prepara a ogni specie di transazioni 912-4. Ha in orrore quel vano fantasticare che popola l'anima di fantasmi, i quali presto diventano pericolosi. Pratica insomma la mortificazione sotto le varie forme da noi indicate, n. 767-817, e l'applicazione ai doveri del proprio stato, alla vita interiore e all'apostolato. In cosiffatta vita intensa resta poco posto per le tentazioni.
d) La vigilanza poi deve specialmente esercitarsi sul punto debole dell'anima, perchè di là viene ordinariamente l'assalto. A fortificare questo lato vulnerabile, bisogna servirsi dell'esame particolare, che concentra l'attenzione, per un notevole tempo, su cotesto difetto, o meglio ancora sulla virtù contraria (n. 468).
913. B) Alla vigilanza si aggiunga la preghiera, che, mettendo Dio dalla nostra parte, ci rende invincibili. In sostanza Dio è interessato alla nostra vittoria: lui infatti il demonio assale nella nostra persona, l'opera sua egli vuol distruggere in noi; noi possiamo quindi invocarlo con santa confidenza, sicuri che altro non desidera che di soccorrerci. Ogni preghiera è buona contro la tentazione, vocale o mentale, privata o pubblica, sotto forma di adorazione o sotto forma di domanda. E si può, specialmente nei momenti di calma, pregare pel tempo della tentazione. Così quando questa si presenti, non si ha più da fare che una breve elevazione del cuore per resistere con miglior fortuna.
914. 2° Resistere alla tentazione. Questa resistenza dovrà variare secondo la natura delle tentazioni. Ce ne sono di quelle frequenti ma poco gravi: bisogna trattarle col disprezzo, come spiega sì bene S. Francesco di Sales 914-1.
"Quanto a quelle tentazioncelle di vanità, di sospetti, di stizza, di gelosia, di invidia, di amorucci, e simili bricconerie, che, come le mosche e le zanzare, ci vengono a passare davanti agli occhi e ora ci pungono le guance, ora il naso... la miglior resistenza che si possa fare è di non affliggersene, perchè sono tutte cose che non possono far danno, benchè possano dar fastidio, a patto che si sia ben risoluti di voler servir Dio. Disprezzate quindi questi piccoli assalti e non vi degnate neppure di pensare che cosa vogliano dire, ma lasciatele ronzare intorno agli orecchi quanto vorranno, come si fa con le mosche".
A) Prontamente, senza discutere col nemico, senza esitazione alcuna: sul principio, non avendo la tentazione preso ancora saldo piede nell'anima, è molto facile il respingerla; ma se aspettiamo che vi abbia messo radice, sarà assai più difficile. Quindi non fermiamoci a discutere; associamo l'idea del cattivo diletto a tutto ciò che vi è di ripugnante, a un serpente, a un traditore che ci vuole sorprendere, e richiamiamo la parola della Sacra Scrittura: "Fuggi il peccato come dalla vista di un serpente; perchè se ti lasci accostare, ti morderà: quasi a facie colubri fuge peccata" 914-2. Si fugge pregando, e applicando intensamente ad altro la mente.
915. B) Energicamente, non fiaccamente e come a malincuore, che sarebbe quasi un invito alla tentazione a ritornare; ma con forza e vigore, esprimendo l'orrore che si ha per cosiffatta proposta: "Via, brutto demonio, vade retro, Satana" 915-1. Si ha però da variar la tattica secondo il genere delle tentazioni: se si tratta di diletti seducenti, bisogna dar subito di volta e fuggire, applicando fortemente l'attenzione ad altra cosa che possa occuparci bene la mente: la resistenza diretta d'ordinario non farebbe che aumentare il pericolo. Se si tratta invece di ripugnanza a fare il proprio dovere, di antipatia, di odio, di rispetto umano, spesso è meglio affrontar la tentazione, guardar francamente in faccia la difficoltà e ricorrere ai principi di fede per trionfarne.
916. C) Con costanza: talora infatti la tentazione, vinta per un momento, ritorna con nuovo accanimento, e il demonio conduce dal deserto sette altri spiriti peggiori di lui. A questa ostinazione del nemico bosigna opporre una non meno tenace resistenza, perchè solo colui che combatte sino alla fine riporta vittoria. Ma per essere più sicuri del trionfo, conviene palesare la tentazione al direttore.
È il consiglio che danno i Santi, specialmente S. Ignazio e S. Francesco di Sales: "Notate bene, dice quest'ultimo, che la prima condizione posta dal maligno all'anima che vuol sedurre, è il silenzio, come fanno quelli che vogliono sedurre le donne e le giovanette che, subito fin da principio, proibiscono di comunicar le proposte ai genitori o ai mariti; mentre Dio, nelle sue ispirazioni, richiede soprattutto che le facciamo riconoscere dai superiori e direttori" 916-1. Pare infatti che grazia speciale sia annessa a questa apertura di cuore: tentazione svelata è mezzo vinta.
917. D) Con umiltà: è lei infatti che attira la grazia, e la grazia ci dà la vittoria. Il demonio che peccò per superbia, fugge davanti a un sincero atto di umiltà; e la triplice concupiscenza, che trae la forza dalla superbia, è facilmente vinta quando con l'umiltà siamo riusciti, per così dire, a decapitarla.
918. 3° Dopo la tentazione, bisogna guardarsi bene dall'esaminare troppo minuziosamente se si è consentito o no: è imprudenza che potrebbe ricondurre la tentazione e costituire un nuovo pericolo. È facile del resto conoscere dal testimonio della coscienza, anche senza profondo esame, se si è rimasto vittoriosi.
A) Se si ebbe la ventura di trionfarne, si ringrazi di gran cuore Colui che ci diede la vittoria: è dovere di riconoscenza e il mezzo migliore per ottenere a suo tempo nuove grazie. Sventura agli ingrati che, attribuendo a sè la vittoria, non pensassero a ringraziarne Dio! Non tarderebbero molto a sperimentar la propria debolezza!
919. B) Chi invece avesse avuto la disgrazia di soccombere, non si disanimi: ricordi l'accoglienza fatta al figliuol prodigo e corra, come lui, a gettarsi ai piedi del rappresentante di Dio, gridando dal fondo del cuore: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di voi: non merito più d'essere chiamato vostro figlio 919-1. E Dio, che è anche più misericordioso del padre del prodigo, gli darà il bacio di pace e gli restituirà l'amicizia.
Ma, a schivar le ricadute, il peccatore pentito si giovi del suo peccato per profondamente umiliarsi davanti a Dio, riconoscere la propria impotenza a fare il bene, mettere tutta la confidenza in Dio, diventar più circospetto schivando diligentemente le occasioni di peccato, e rifarsi alla pratica della penitenza. Un peccato così riparato non sarà ostacolo alla perfezione 919-2. Come giustamente nota S. Agostino, chi così si rialza diventa più umile, più prudente e più fervoroso: "ex casu humiliores, cautiores, ferventiores" 919-3.
ART. II. LE PRINCIPALI TENTAZIONI DEGL'INCIPIENTI.
Gl'incipienti vanno soggetti ad ogni sorta di tentazioni provenienti dalle fonti che abbiamo indicate. Ma ve ne sono alcune che li riguardano in modo più particolare:
§ I. Illusioni degl'incipienti sulle consolazioni 920-1.
920. Il Signore ordinariamente concede consolazioni sensibili agl'incipienti per attirarli al suo servizio; poi per un tempo ne li priva a fine di provarne e rinsaldarne la virtù. Or vi sono taluni che si credono già arrivati a un certo grado di santità quando hanno molte consolazioni; se poi esse vengono a cessare e cedono il posto alle aridità, si credono perduti. A prevenir quindi nello stesso tempo la presunzione e lo scoraggiamento, conviene spiegar loro la vera dottrina sulle consolazioni e sulle aridità.
921. 1° Natura ed origine. a) Le consolazioni sensibili sono dolci emozioni che toccano la sensibilità e fanno gustare una viva gioia spirituale. Il cuore si dilata e batte allora più animatamente, il sangue circola con maggior rapidità, radioso è il volto, la voce commossa, e la gioia si manifesta talora con le lacrime. -- Si distinguono dalle consolazioni spirituali, concesse generalmente alle anime proficienti, consolazioni d'ordine superiore che operano sull'intelligenza illuminandola e sulla volontà attirandola alla preghiera e alla virtù. Spesso però vi è un certo misto di queste due consolazioni, e quel che diremo può applicarsi così alle une come alle altre.
b) Queste consolazioni possono provenire da triplice fonte:
1) da Dio, che opera con noi come la madre col suo bambino, traendoci a sè con le dolcezze che ci fa provare nel suo servizio, a fine di staccarci più facilmente dai falsi diletti e piaceri del mondo;
2) dal demonio, che, operando sul sistema nervoso, sull'immaginazione e sulla sensibilità, può produrre certe emozioni sensibili di cui poi si servirà per spingere ad austerità indiscrete, alla vanità, alla presunzione presto seguita dallo scoraggiamento;
3) dalla natura stessa: vi sono temperamenti immaginosi, sensitivi, ottimisti, che, dandosi alla pietà, vi trovano naturalmente alimento alla loro sensibilità.
922. 2° Vantaggi. Le consolazioni hanno certamente la loro utilità:
a) Agevolano la conoscenza di Dio: la fantasia, aiutata dalla grazia, si rappresenta volentieri le divine amabilità e il cuore le gusta; si prega allora e si medita a lungo volentieri e l'anima intende meglio la bontà di Dio.
b) Contribuendo a fortificar la volontà, la quale, non trovando più ostacoli nelle facoltà inferiori ma preziosi ausiliarii, si distacca più facilmente dalle creature, ama Dio con più ardore e prende energiche risoluzioni che più facilmente osserva in virtù degli aiuti ottenuti con la preghiera: amando Dio in modo sensibile, sopporta valorosamente i piccoli sacrifizi quotidiani e s'impone anzi volentieri qualche mortificazione.
c) Ci aiutano a formarci abitudini di raccoglimento, di preghiera, d'obbedienza, d'amor di Dio, che persevereranno in parte anche quando le consolazioni saranno cessate.
923. 3° Pericoli. Ma hanno anche i loro pericoli queste consolazioni:
a) Eccitano una specie di spirituale ghiottoneria, la quale fa che uno si affezioni più alle consolazioni di Dio che al Dio delle consolazioni; cosicchè, cessate che siano, si trascurano poi gli esercizi spirituali e i doveri del proprio stato; anzi, in quello stesso momento che ne godiamo, la nostra devozione è tutt'altro che soda, perchè, pur piangendo sulla Passione del Salvatore, gli rifiutiamo il sacrificio di questa o quell'amicizia sensibile o di quella privazione! Ora virtù soda non v'è che quando l'amor di Dio giunge sino ad abbracciare il sacrificio, n. 321. "Vi sono molte anime che hanno di queste tenerezze e consolazioni e che pure non lasciano d'essere molto viziose, che non hanno quindi alcun vero amor di Dio e tanto meno alcuna vera divozione" 923-1.
b) Fomentano spesso la superbia sotto una forma o sotto un'altra: 1) la vana compiacenza: quando si ha consolazioni e la preghiera riesce facile, uno si crede facilmente un santo, mentre invece è ancora novizio nella perfezione! 2) la vanità: si desidera parlare ad altri di queste consolazioni per darsi importanza; e allora se ne viene spesso privati per un notevole tempo; 3) la presunzione: uno si crede forte e invincibile, e si espone talora al pericolo, o almeno comincia a riposarsi, quando invece bisognerebbe raddoppiare gli sforzi e progredire.
924. 4° Contengo rispetto alle consolazioni. Per trar profitto dalle divine consolazioni e schivare i pericoli che abbiamo indicati, ecco le regole da seguire.
a) Si può certamente desiderare queste consolazioni ma in modo condizionato, con l'intenzione di servirsene ad amar Dio e adempierne la santa volontà. In questo senso la Chiesa ci fa chiedere, il giorno di Pentecoste, nella Colletta, la grazia della consolazione spirituale: "et de ejus semper consolatione gaudere". È infatti un dono di Dio, che mira ad aiutarci nell'opera della nostra santificazione: bisogna quindi stimarlo molto, e si può anche domandarlo, purchè si stia rassegnati alla santa volontà di Dio.
b) Quando queste consolazioni ci vengono date, riceviamole con gratitudine ed umiltà, riconoscendocene indegni e attribuendone tutto il merito a Dio; se vuole trattarci da beniamini, ne sia benedetto, ma confessiamo che siamo ancora molto imperfetti, avendo bisogna del latte dei bambini "quibus lacte opus est et non solido cibo". Soprattutto poi non vantiamocene, chè sarebbe questo il miglior mezzo di perderle.
c) Ricevutele umilmente, vediamo di premurosamente volgerle al fine voluto da Colui che ce le dà. Ora Dio ce le concede, dice S. Francesco di Sales, "per renderci dolci con tutti e amorosi verso di lui. La madre dà i confetti al figliolino perchè la baci; baciamo dunque questo Salvatore che ci dà tante dolcezze. Ora baciare il Salvatore vuol dire obbedirlo, osservarne i comandamenti, farne la volontà, secondarne i desideri, insomma teneramente abbracciarlo con obbedienza e umiltà" 924-1.
d) Finalmente bisogna persuadersi che queste consolazioni non dureranno sempre, e chiedere quindi umilmente a Dio la grazia di servirlo nelle aridità quando si degnerà di inviarcele. Intanto, in cambio di voler prolungare con sforzata applicazione queste consolazioni, bisogna moderarle e attaccarsi fortemente al Dio delle consolazioni.
A rassodarci nella virtù, Dio è obbligato a mandarci di tanto in tanto delle aridità; esponiamone:
925. 1° Natura. Le aridità sono una privazione delle consolazioni sensibili e spirituali che agevolavano [sic] la preghiera e la pratica delle virtù. Non ostante sforzi spesso rinnovati, non si ha più gusto per la preghiera, vi si prova anzi noia e stanchezza, e il tempo pare molto lungo; la fede e la confidenza sembrano assopite e l'anima, in cambio di sentirsi svelta e lieta, vive in una specie di torpore: non si va più avanti se non per forza di volontà. È questo certamente uno stato molto penoso, ma ha pure i suoi vantaggi.
926. 2° Scopo provvidenziale. a) Quando Dio ci manda le aridità, lo fa per distaccarci da tutto ciò che è creato, anche dalle gioie della pietà, affinchè impariamo ad amar Dio solo e per sè stesso.
b) Vuole pure umiliarci, mostrandoci che le consolazioni non ci sono dovute, ma sono favori essenzialmente gratuiti.
c) Ci purifica sempre più così dalle colpe passate come dagli attacchi presenti e da ogni mira egoistica; quando si è costretti a servir Dio senza gusto, per sola convinzione e forza di volontà, si soffre molto e questo patimento espia e ripara.
d) Infine ci rassoda nella virtù; perchè, per continuare a pregare e a fare il bene, bisogna esercitare con energia e costanza la volontà e con siffatto esercizio si rassoda la virtù.
927. 3° Condotta da tenere. a) Le aridità provengono talvolta dalle colpe nostre, onde bisogna prima di tutto esaminar seriamente, ma senza affanno, se non ne siamo responsabili noi: 1) con sentimenti più o meno volontari di vana compiacenza e di orgoglio; 2) con una specie di pigrizia spirituale, o per l'opposto con una inopportuna tensione; 3) con la ricerca di consolazioni umane, di amicizie troppo sensibili, di mondani diletti, non volendo Dio saperne di cuori divisi; 4) con la mancanza di sincerità col direttore: "poichè voi mentite allo Spirito Santo, dice S. Francesco di Sales, non è meraviglia s'egli vi rifiuta la sua consolazione" 927-1. Trovata la causa di queste aridità, bisogna umiliarsene e cercar di sopprimerla.
928. b) Se poi non ne siamo causa noi, conviene trar buon partito da questa prova. 1) Il gran mezzo per riuscirvi è di persuaderci che servir Dio senza gusto e senza sentimento è cosa più meritoria che servirlo con molta consolazione; che basta volere amar Dio per amarlo, e che il più perfetto atto d'amore è poi quello di conformare la propria volontà a quella di Dio. 2) Per rendere quest'atto ancor più meritorio, non c'è di meglio che unirsi a Gesù, il quale, nel giardino degli Ulivi, volle per amor nostro provar noia e tristezza, e ripetere con lui: "verumtamen non mea voluntas sed tua fiat" 928-1. 3) Soprattutto poi non bisogna disanimarsi mai, nè dimunuir gli esercizi di pietà, gli sforzi, le risoluzioni, ma imitare Nostro Signore che, immerso nell'agonia, pregava anche più a lungo: "factus in agonia prolixius orabat".
929. Consiglio al direttore. Affinchè questa dottrina sulle consolazioni e sulle aridità sia ben capita dai diretti, bisogna tornarci sopra di frequente; perchè essi credono pur sempre di far meglio quando tutto va a seconda dei loro desideri che quando si è costretti a remar contro corrente; ma a poco a poco si fa la luce e quando sanno non inorgoglirsi nelle consolazioni e non disanimarsi nelle aridità, molto più rapidi e costanti ne sono i progressi.
§ II. L'incostanza degl'incipienti.
930. 1° Il male. Quando un'anima si dà a Dio e comincia a progredire nelle vie spirituali, viene sorretta dalla grazia di Dio, dall'attrattiva della novità e da un certo slancio verso la virtù che appiana molte difficoltà. Ma viene il momento che la grazia di Dio ci è data sotto forma meno sensibile, che ci sentiamo stanchi di dover sempre rifar gli stessi sforzi, che lo slancio pare infranto dalla continuità degli stessi ostacoli. Si è allora esposti all'incostanza e al rilassamento.
931. 2° Il rimedio. A) Bisogna convincersi che l'opera della perfezione è opera di lunga lena, che richiede molta costanza, e che quei soli riescono che si rimettono continuamente al lavoro con novello ardore, non ostante le parziali sconfitte che subiscono. Così fanno gli uomini d'affari che vogliono riuscire, così pure deve far ogni anima che vuol progredire. Ogni mattino ella deve chiedersi se non potrebbe fare un po' più e soprattutto un po' meglio per Dio; e ogni sera deve attentamente esaminare se ha effettuato almeno in parte il programma del mattino.
B) Nulla giova meglio ad assicurar la costanza quanto la pratica fedele dell'esame particolare, n. 468; concentrando l'attenzione su un dato punto, su una data virtù, e rendendo conto al confessore dei progressi fatti, si è sicuri di progredire, anche quando non se ne avesse coscienza.
Quanto dicemmo sull'educazione della volontà, n. 812, è pure ottimo mezzo per trionfar dell'incostanza.
§ III. La eccessiva premura degl'incipienti.
Molti incipienti, pieni di buona volontà, mettono un ardore e una premura eccessiva a lavorare alla propria perfezione, onde finiscono con lo stancarsi e spossarsi in sforzi inutili.
932. 1° Le cause. a) La causa principale di questo difetto è che si sostituisce la propria attività a quella di Dio: in cambio di riflettere prima di operare, di chiedere allo Spirito Santo i suoi lumi e seguirli, uno corre all'opera con ardore febbrile; in cambio di consultare il direttore, uno prima fa e poi gli presenta il fatto compiuto; onde molte imprudenze e molti sforzi perduti, "magni passus extra viam".
b) Spesso c'entra pure la presunzione: si vorrebbe far dei salti, uscir presto dagli esercizi di penitenza e giungere subito all'unione con Dio; ma ahime! sorgono molti ostacoli imprevisti e uno si disanima, indietreggia e cade talora in colpe gravi.
c) Altre volte domina la curiosità: si cercano continuamente nuovi mezzi di perfezione, si provano per qualche tempo e presto si mettono da parte prima ancora che abbiano potuto produrre i loro effetti. Si fanno sempre nuovi disegni di riforma per sè e per gli altri, dimenticando poi di metterli in pratica.
Il risultato più chiaro di questa attività eccessiva è la perdita del raccoglimento interiore, l'agitazione e il turbamento, senza alcun serio vantaggio.
933. 2° I rimedi. a) Il rimedio principale è di assoggettarsi con intiera dipendenza all'azione di Dio, di riflettere maturamente prima di operare, di pregare per ottenere i lumi divini, di consultare il direttore e stare alla sua risoluzione. Come nell'ordine della natura non sono le forze violente quelle che ottengono i migliori effetti ma le forze ben regolate, così, nella vita soprannaturale, non sono gli sforzi febbrili ma gli sforzi calmi e ben regolati che ci fanno progredire: chi va piano va sano.
b) Ma per assoggettarsi così all'azione di Dio è necessario combattere le cause di questa eccessiva premura: 1) la vivacità di carattere, che spinge a troppo [sic] pronte risoluzioni; 2) la presunzione, che nasce da troppa stima di sè; 3) la curiosità, che va sempre in cerca di qualche cosa di nuovo. Conviene dunque assalir un dopo l'altro questi difetti con l'esame particolare, e allora Dio riprenderà il suo posto nell'anima e la guiderà con calma e dolcezza nei sentieri della perfezione.
§ IV. Gli scrupoli 934-1.
934. Lo scrupolo è una malattia fisica e morale, che produce una specie di follia nella coscienza, facendole temere, per futili motivi, d'aver offeso Dio. Questa malattia non è particolare degl'incipienti ma si trova anche in anime progredite. Bisogna quindi dirne una parola esponendone:
935. La parola scrupolo (dal latino scrupulus, sassolino, pietruzza) indicò per lungo tempo un minutissimo peso che non fa inclinare se non bilance molto sensibili. Nel campo morale indica una ragione minuta a cui badano soltanto le coscienze più delicate. Venne quindi ad esprimere l'inquietudine eccessiva che provano certe coscienze, per i più futili motivi, d'aver offeso Iddio. A conoscerne meglio la natura, spieghiamone l'origine, i gradi, la distinzione dalla coscienza delicata.
936. 1° Origine. Lo scrupolo può nascere ora da causa puramente naturale, ora da intervento soprannaturale.
a) Sotto l'aspetto naturale, lo scrupolo è spesso una malattia fisica e morale. 1) La malattia fisica che contribuisce a cagionar questo disordine è una specie di depressione nervosa, che rende più difficile il savio giudizio delle cose morali e tende a produrre l'idea fissa che si è commesso peccato, e ciò senza seria ragione. 2) Ma vi sono pure cause morali che producono lo stesso effetto: una mente meticolosa, che si perde nelle minuzie e che vorrebbe avere la certezza assoluta in ogni cosa; una mente poco illuminata, che si figura Dio come giudice non solo severo ma anche spietato; che negli atti umani confonde l'impressione col consenso e crede di aver peccato perchè la fantasia rimase fortemente e lungamente impressionata; una mente caparbia, che preferisce il giudizio proprio a quello del confessore, appunto perchè si lascia guidare più dalle sue impressioni che dalla ragione.
Quando queste due cause, la fisica e la morale, s'uniscono, il male è più profondo e di più difficile guarigione.
937. b) Lo scrupolo può anche provenire da intervento preternaturale di Dio o del demonio.
1) Dio permette che siamo così vessati, ora per castigarci specialmente della superbia e dei sentimenti di vana compiacenza; ora per provarci, farci espiare le colpe passate, distaccarci dalle consolazioni spirituali, e condurci a più alto grado di santità: il che avviene specialmente alle anime che Dio vuol preparare alla contemplazione, come diremo trattando della via unitiva.
2) Anche il demonio viene talvolta a innestare la sua azione su qualche morbosa predisposizione del nostro sistema nervoso per turbarci l'anima: tenta di persuaderci che siamo in istato di peccato mortale per impedirci di fare la comunione o molestarci nell'adempimento dei doveri del nostro stato; soprattutto poi tenta d'ingannarci sulla gravità di questa o quell'azione onde farci peccar formalmente, anche quando non vi è materia di peccato e soprattutto di peccato grave.
938. 2° Gradi. Ci sono, come è chiaro, molti gradi nello scrupolo: a) a principio non è che coscienza meticolosa, timorosa all'eccesso, che vede peccato dove non è; b) poi vengono scrupoli passeggeri che si confidano al direttore accettando subito la soluzione che ne dà; c) finalmente lo scrupolo propriamente detto, tenace, accompagnato da ostinazione.
939. 3° Differenza dalla coscienza delicata. È cosa importante distinguere bene la coscienza scrupolosa dalla coscienza delicata o timorata.
a) Non ne è lo stesso il punto di partenza: la coscienza delicata ama fervidamente Dio e per piacergli vuole schivare anche le minime colpe e le minime imperfezioni volontarie; lo scrupoloso è invece guidato da un certo egoismo che gli fa troppo ardentemente desiderare di esser sicuro di trovarsi in stato di grazia.
b) La coscienza delicata, avendo orrore del peccato e conoscendo la propria debolezza, ha timore fondato, ma non inquieto, di dispiacere a Dio; lo scrupoloso alimenta futili timori di peccare in ogni circostanza.
c) La coscienza timorata sa serbar la distinzione tra peccato mortale e veniale, e in caso di dubbio subito si sottomette al giudizio del direttore; lo scrupoloso discute tenacemente col direttore e stenta assai a sottomettersi alle sue risoluzioni.
Se si deve schivare lo scrupolo, nulla invece di più prezioso d'una coscienza delicata.
940. 1° Talvolta lo scrupolo è universale e si riferisce a qualsiasi materia: prima dell'azione, ingrossa smisuratamente i pericoli che si possono incontrare in questa o quell'occasione che è del resto molto innocente; dopo l'azione, popola l'anima di mal fondate inquietudini e persuade agevolmente alla coscienza che si è resa gravemente colpevole.
941. 2° Più spesso però si riferisce solo ad alcune materie particolari:
a) Confessioni passate: anche dopo aver fatto parecchie confessioni generali, non si resta soddisfatti, si teme di non aver accusato tutto, o d'aver mancato di contrizione e si vuol sempre ricominciare; b) cattivi pensieri: la fantasia è piena d'immagini pericolose od oscene, e poichè fanno una certa impressione, si teme d'avervi acconsentito, se ne è anzi certi, benchè dispiacciano infinitamente; c) pensieri di bestemmia: perchè quelle idee passano per la mente, si è persuasi di avervi acconsentito, non ostante tutto l'orrore che se ne prova; d) carità: si sono ascoltate maldicenze senza energicamente protestare, si è mancato al dovere della correzione fraterna per rispetto umano, si è scandalizzato il prossimo con parole imprudenti, si è visto un agglomeramento di persone e non si è corsi a vedere se fosse accaduta qualche disgrazia che richiedesse l'intervento del sacerdote per dare l'assoluzione: in tutte queste cose si vedono grossi peccati mortali; e) specie consacrate, che si teme d'aver toccato senza motivo, onde si vuol purificare mani, vesti; f) parole della consecrazione, esatta recita dell'ufficio divino ecc.
III. Inconvenienti e vantaggi dello scrupolo.
942. 1° Chi ha la disgrazia di lasciarsi dominare dagli scrupoli, ne risente sul corpo e sull'anima deplorevoli effetti.
a) Cagionano gradatamente indebolimento e aissesto [sic] nel sistema nervoso: i timori, le continue angoscie hanno influsso deprimente sulla sanità del corpo; possono diventare una vera ossessione e finire in una specie di idea fissa, che è vicina alla follia.
b) Acciecano la mente e falsano il giudizio: si perde a poco a poco la facoltà di discernere ciò che è peccato da ciò che non è, ciò che è grave da ciò che è leggero, e l'anima diventa nave senza timone.
c) La perdita d'ogni devozione ne è spesso la conseguenza: quel continuo vivere nell'agitazione e nel turbamento rende lo scrupoloso terribilmente egoista, cosicchè diffida di tutti, perfino di Dio che stima troppo severo; si lagna che Dio lo lasci in quell'infelice stato e lo accusa ingiustamente; e allora è chiaro che la vera devozione non è più possibile.
d) Finalmente vengono le mancanze e la cadute. 1) Lo scrupoloso logora le forze nel fare sforzi inutili in cose da poco, cosicchè non glie ne rimangono più abbastanza per lottare in cose di grande importanza, non potendo l'attenzione volgersi con intensità su tutti i punti. Quindi sorprese, mancanze, e talvolta colpe gravi. 2) E poi in tali casi si cerca istintivamente un sollievo alle proprie pene, e, non trovandolo nella pietà, si va a cercarlo altrove, in letture, in amicizie pericolose, onde nascono talora occasioni di colpe deplorevoli, che gettano in profondo scoraggiamento.
943. 2° Ma chi sappia accettare gli scrupoli come prova e a poco a poco con l'aiuto d'un savio direttore correggersene, ne avrà preziosi vantaggi.
a) Servono a purificar l'anima: uno infatti si studia di schivare i minimi peccati, le minime imperfezioni volontarie, onde acquista grande purità di cuore.
b) Ci aiutano a praticar l'umiltà e l'obbedienza, obbligandoci a sottoporre con tutta semplicità i dubbi al direttore e seguirne i consigli con piena docilità non solo di volontà ma anche di giudizio.
c) Contribuiscono a darci maggior purità d'intenzione, distaccandoci dalle consolazioni spirituali per affezionarci unicamente a Dio, che tanto più amiamo quanto più ci prova.
944. Bisogna combattere lo scrupolo subito da principio, prima che si sia profondamente radicato nell'anima. Ora il grande, anzi, a dir vero, l'unico rimedio è la piena e assoluta obbedienza a un savio direttore: oscuratasi la luce della coscienza, bisogna ricorrere ad altra luce; lo scrupoloso è come una nave senza timone e senza bussola: bisogna rimorchiarlo. Il direttore quindi deve guadagnarsi la confidenza dello scrupoloso, e sapere esercitar la sua autorità su lui per guarirlo.
945. 1° Bisogna prima di tutto guadagnarsene la confidenza; perchè non si obbedisce facilmente se non a chi si ha confidenza. Il che però non è sempre cosa facile: è vero che gli scrupolosi sentono istintivamente bisogno di guida, ma alcuni non osano abbandonarsele intieramente; la consultano volentieri, ma vogliono anche discuterne le ragioni. Ora con lo scrupoloso, non si deve discutere ma parlare con autorità, dicendogli nettamente quel che deve fare.
Per ispirare questa confidenza, il direttore deve meritarla per competenza e premura.
a) Lascierà prima parlare il penitente, intercalando solo qualche osservazione per mostrare che ha capito bene; poi gli farà qualche interrogazione, a cui lo scrupoloso dovrà solo rispondere sì o no, dirigendone così l'esame metodico della coscienza. Poi aggiungerà: capisco bene il caso vostro, voi soffrite così e così. E già grande sollievo per il penitente il vedersi ben compreso e talvolta basta questo perchè dia intiera la sua confidenza.
b) Alla competenza bisogna aggiungere la premura. Il direttore quindi si mostrerà paziente, ascoltando tranquillo le lunghe spiegazioni dello scrupoloso, almeno a principio; buono, interessandosi di quell'anima e palesando il desiderio e la speranza di guarirla; dolce, non parlando con tono severo ed aspro, ma con bontà, anche quando è obbligato ad usare linguaggio fermo ed imperativo. Nulla guadagna meglio la confidenza quanto questo misto di fermezza e di bontà.
946. 2° Guadagnata la confidenza, bisogna esercitare l'autorità ed esigere obbedienza, dicendo allo scrupoloso: se volete guarire, dovete ubbidire ciecamente: obbedendo, siete pienamente al sicuro, quand'anche il direttore sbagli, perchè Dio in questo momento a voi non chiede altro che di obbedire. La cosa è talmente così, che se voi non vi sentiste di obbedirmi, bisogna che vi cerchiate un altro direttore: la sola ubbidienza cieca vi potrà guarire e vi guarirà certamente.
a) Dando gli ordini, il confessore deve parlare franco, con chiarezza e precisione, schivando ogni ambiguità; in modo categorico e non condizionato, come, per esempio, se questo vi disturba non lo fate; ma in modo assoluto: fate questo, lasciate quello, disprezzate quella tentazione.
b) Per lo più non bisogna dar ragione degli ordini dati specialmente a principio; più tardi, quando lo scrupoloso potrà comprenderne e sentirne la forza, gli si darà brevemente la ragione, per formargli a poco a poco la coscienza. Ma soprattutto nessuna discussione sulla sostanza della risoluzione; se pel momento vi fosse qualche ostacolo ad eseguirla, se ne tiene conto; ma la risoluzione deve rimanere.
c) Non bisogna quindi mai disdirsi: prima di risolvere, si riflette bene, e non si danno ordini che non si possano poi mantenere; ma dato che sia, l'ordine non si deve più revocare, finchè un fatto nuovo non richieda un cambiamento.
d) Per assicurarsi che l'ordine sia stato capito bene, gli si fa ripetere; dopo non resta che farlo eseguire. È cosa difficile, perchè lo scrupoloso talora indietreggia davanti all'esecuzione come il condannato davanti al supplizio. Ma gli si dice chiaro che dovrà renderne conto; se non ha seguito il consiglio, non gli si darà ascolto finchè non l'abbia eseguito. Può darsi quindi che si debba ripetere più volte la stessa prescrizione finchè non sia eseguita bene; e si fa senza impazienza ma con crescente fermezza e lo scrupoloso finisce con obbedire.
947. 3° Venuto il tempo, il direttore inculca il principio generale, che darà modo allo scrupoloso di disprezzar tutti i dubbi; occorrendo, lo può anche dettare in questa o altra simile forma: "Per me, in fatto di obbligo di coscienza, non c'è che l'evidenza che conta, ossia certezza tale che escluda ogni dubbio, certezza calma e piena, chiara come due e due fanno quattro; io quindi non posso commettere peccato mortale o veniale se non quando ho certezza assoluta che l'azione che sto per fare è per me proibita sotto pena di peccato mortale o veniale, e che, pur sapendo questo, io voglia farla a qualunque costo. Non presterò dunque attenzione alcuna alle probabilità per forti che siano, e non mi crederò legato che dall'evidenza chiara e certa; fuori di questo caso, per me nessun peccato". Quando lo scrupoloso si presenterà affermando di aver commesso un peccato veniale o mortale, il confessore gli dirà: Potete giurare di aver chiaramente visto, prima di operare, che quell'azione era peccato e che, avendolo chiaramente visto, pure ci avete dato pieno consenso? -- Questa interrogazione chiarirà la regola e la farà capir meglio.
948. 4° Bisogna infine applicar questo principio generale alle difficoltà particolari che si presentano.
a) Riguardo alle confessioni generali, lasciatene fare una, non si permetterà più di ritornarvi sopra se non sono evidenti questi due punti: 1) un peccato mortale certamente commesso; e 2) certezza che tal peccato non fu mai accusato in alcuna confessione valida. Del resto dopo qualche tempo, il confessore dirà che non bisogna più assolutamente ritornar sul passato, e che se qualche peccato fosse stato omesso, resta perdonato con gli altri.
b) Quanto ai peccati interni di pensieri e di desideri, si darà questa regola: durante la crisi, stornar l'attenzione pensando ad altro; dopo la crisi, non esaminarsi per vedere se si è peccato (il che richiamerebbe la tentazione) ma tirare avanti occupandosi dei doveri del proprio stato, e comunicarsi finchè non si abbia evidenza d'aver pieno consenso (n. 909).
949. c) La comunione è spesso una tortura per gli scrupolosi: temono di non trovarsi in istato di grazia o di non esser digiuni. Ora 1) la paura di non trovarsi in stato di grazia mostra che non ne sono certi; devono quindi comunicarsi e la comunione li metterà in istato di grazia caso mai che non vi fossero; 2) il digiuno eucaristico non deve impedire agli scrupolosi di comunicarsi se non quando siano assolutamente certi di averlo rotto.
d) La confessione è per loro anche maggior tortura, onde conviene semplificarla. Quindi si dirà loro: 1) voi non siete obbligato che ad accusare i peccati certamente mortali; 2) dei peccati veniali dite solo quelli che vi verranno in mente dopo cinque minuti di esame; 3) quanto alla contrizione, consacrerete sette minuti a domandarla a Dio e ad eccitarvici e l'avrete; -- ma io non la sento punto: -- non è necessario, perchè la contrizione è atto della volontà che non cade sotto la sensibilità. -- Anzi in certi casi, quando lo scrupolo è molto intenso, si prescriverà ai penitenti di contentarsi di questa accusa generica: mi accuso di tutti i peccati commessi dall'ultima confessione e di tutti quelli della vita passata.
950. 5° Risposta alle difficoltà. Può essere che il penitente dica al confessore: lei mi tratta da scrupoloso, ma io non lo sono. -- Gli si risponderà: non sta a voi il giudicarne, sta a me. Ma siete poi ben sicuro di non essere scrupoloso? Dopo la confessione siete, come tutti gli altri, calmo e tranquillo? Non avete invece dubbi e angustie che gli altri in generale non hanno? Non siete dunque in istato normale: c'è in voi un certo squilibro sotto l'aspetto fisico e morale; avete quindi bisogno di trattamento speciale; obbedite dunque senza discutere e guarirete; altrimenti il vostro stato non farà che aggravarsi.
Solo con questi e altri simili mezzi si riesce, con la grazia di Dio, a guarire questa desolante malattia dello scrupolo.
APPENDICE SUL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI 951-1.
In teoria possono venire da sei diversi principii:
a) da noi stessi, dallo spirito che ci spinge verso il bene, o dalla carne che ci spinge verso il male;
b) dal mondo, in quanto opera, per mezzo dei sensi, sulle nostre facoltà interne per trarle al male, n. 212;
c) dagli angeli buoni, che eccitano in noi buoni pensieri;
d) dai demoni, che operano invece sui nostri sensi esterni o interni per spingerci al male;
e) da Dio, che solo può penetrare fin nel più intimo dell'anima e che non ci porta mai se non al bene.
952. In pratica però, basta sapere se questi moti vengono dal buono o dal cattivo principio; dal buon principio: da Dio, dagli angeli buoni o dall'anima aiutata dalla grazia; dal cattivo principio: dal demonio, dal mondo o dalla carne. Le regole che ci aiutano a descernerli l'uno dall'altro si dicono regole sul discernimento degli spiriti. Già S. Paolo ne aveva posto il fondamento, distinguendo nell'uomo la carne e lo spirito e, fuori di lui, lo Spirito di Dio che ci porta al bene e gli angeli decaduti che ci sollecitano al male. Da allora gli autori spirituali, come Cassiano, S. Bernardo, S. Tommaso, l'autore dell'Imitazione (l. III, c. 54-55), S. Ignazio, stesero regole per discernere gli opposti moti della natura e della grazia.
953. Regole di S. Ignazio che convengono specialmente agl'incipienti.
Le due prime regole riguardano la condotta diversa che lo spirito buono e il maligno tengono verso i peccatori e verso le persone fervorose.
1° Prima regola. Ai peccatori, che non mettono freno alcuno alle passioni, il demonio propone piaceri apparenti e voluttà per ritenerli e tuffarli sempre più nel vizio; lo spirito buono invece eccita nella loro coscienza turbamenti e rimorsi per farli uscire dal tristo loro stato.
Seconda regola. Quando si tratta di persone sinceramente convertite, il demonio eccita in loro tristezza e tormenti di coscienza e ostacoli di ogni sorta per disanimarle e arrestarne i progressi. Lo spirito buono invece dà loro coraggio, forze, buone ispirazioni, per farle avanzare nella virtù. Si giudicherà quindi l'albero dai frutti: tutto ciò che ostacola il progresso viene dal demonio, tutto ciò che lo asseconda viene da Dio.
954. 2° La terza regola riguarda le consolazioni spirituali. Provengono dallo spirito buono: 1) quando producono interni moti di fervore: prima una scintilla, poi una fiamma, infine un braciere ardente d'amor divino; 2) quando fanno versar lagrime che sono veramente espressione dell'interna compunzione o dell'amore di Nostro Signore; 3) quando aumentano la fede, la speranza, la carità, o quietano e tranquillano l'anima.
955. 3° Le regole seguenti (4ª-9ª) riguardano le desolazioni spirituali: 1) le desolazioni consistono in tenebre nello spirito o inclinazioni della volontà a cose basse e terrestri che rendono l'anima triste, tiepida e accidiosa; 2) non bisogna allora cambiar nulla delle risoluzioni prese prima, come suggerirebbe lo spirito maligno, ma restar saldi nelle precedenti risoluzioni; 3) bisogna anche approfittarne per diventar più fervorosi, per dare maggior tempo alla preghiera, all'esame di coscienza, alla penitenza: 4) confidar nell'aiuto divino, il quale, benchè non sentito, ci è veramente dato per aiutar le nostre facoltà naturali a fare il bene; 5) aver pazienza e sperare che la consolazione ritornerà; pensare che la desolazione può essere castigo della nostra tiepidezza; prova, volendo Dio farci toccar con mano quello che possiamo quando siamo privi di consolazioni; lezione, volendo Dio mostrarci che siamo incapaci a procurarci consolazioni e guarirci così dall'orgoglio.
956. 4° La regola undecima ritorna sulle consolazioni per avvertirci che bisogna allora far provvista di coraggio, onde comportarsi poi bene nel tempo della desolazione; e per dirci che dobbiamo umiliarci vedendo quanto poco possiamo se veniamo privati della consolazione sensibile, e che possiamo invece molto nel tempo della desolazione se ci appoggiamo a Dio.
957. 5° Le tre ultime regole 12ª-14ª espongono, a fine di svelarle, le astuzie usate dal demonio per sedurci: a) opera come la mala donna, che è debole quando le si resiste, ma ardente e crudele quando le si cede; onde bisogna vigorosamente resistere al demonio; b) si regola come un seduttore che vuole il secreto dalla persona da lui sollecitata al male; quindi il miglior mezzo di vincerlo è di svelare tutto al direttore; c) imita un capitano che, per conquistare una piazza, la assale dal lato più debole; onde è necessario invigilare su questo punto debole nell'esame di coscienza.
SINTESI DI QUESTO PRIMO LIBRO.
Il fine inteso dagl'incipienti è la purificazione dell'anima, onde, liberi dagli avanzi e dalle occasioni del peccato, potersi unire a Dio.
958. Per ottener questo fine ricorrono alla preghiera; porgendo a Dio i doveri religiosi, lo inclinano a perdonar loro tutte le colpe passate; invocandolo con fiducia, in unione col Verbo Incarnato, ottengono grazie di contrizione e di fermo proponimento che ne purificano vie più l'anima e li preservano da future ricadute. Questo buon risultato si ottiene in modo anche più sicuro con la meditazione: le incrollabili convinzioni che vi si acquistano con lunghe e serie riflessioni, gli esami di coscienza che meglio ci mostrano le nostre miserie e la nostra povertà, le preghiere ardenti che sgorgano allora dal fondo di questo povero cuore, le risoluzioni che vi si prendono e che si cerca di praticare, son tutte cose che purificano l'anima, le ispirano orrore al peccato e alle sue occasioni e la rendono più forte contro le tentazioni, più generosa nella pratica della penitenza.
959. Perchè, intendendo meglio la gravità dell'offesa fatta a Dio col peccato e lo stretto dovere di ripararla, l'anima entra coraggiosamente nelle vie della penitenza; in unione con Gesù, che volle essere penitente per noi, alimente in cuore sentimenti di confusione, di contrizione e d'umiliazione, e piange continuamente i suoi peccati. Con questi sentimenti, si dà alle austerità della penitenza, accetta generosamente le croci provvidenziali che Dio le manda, s'impone privazioni, pratica limosine e così ripara il passato.
Per schivare il peccato nell'avvenire, pratica la mortificazione, disciplinando i sensi esterni e gli interni, l'intelligenza e la volontà, insomma tutte le sue facoltà per assoggettarle a Dio e non far nulla che non sia conforme alla sua santa volontà.
È vero che vi sono in lei profonde tendenze cattive che si chiamano i sette peccati capitali; ma, appoggiandosi sulla divina grazia, pone mano a schiantarli o almeno a svigorirli; lotta valorosamente contro ognuno di loro in particolare, e viene il momento che li ha sufficientemente domati.
Nonostante tutto questo lavorìo, dai bassi findo dell'anima sbucheranno fuori le tentazioni, talora terribili, eccitate dal mondo e dal demonio. Ma, senza disanimarsi, appoggiata su Colui che ha vinto il mondo e la carne, l'anima lotterà subito e finchè sarà necessario contro gli assalti del nemico; e, con la grazia di Dio, il più delle volte questi assalti non saranno che occasione di vittoria; se sciaguratamente avvenisse una caduta, l'anima, umiliata ma confidente, si getterebbe subito nelle braccia della divina misericordia per implorarne il perdono. Una caduta così riparata non sarebbe di ostacolo al suo avanzamento spirituale.
960. Dobbiamo tuttavia aggiungere che le purificazioni attive descritte in questo primo libro non bastano a rendere l'anima perfettamente pura. Il lavoro di purificazione deve quindi continuare nel corso della via illuminativa con la pratica positiva delle virtù morali e teologali. E non sarà compito se non quando verranno, nella via unitiva, quelle purificazioni passive, così bene descritte da S. Giovanni della Croce, che danno all'anima la perfetta purità di cuore, che è ordinariamente necessaria alla contemplazione. Ne parleremo nel terzo libro.
902-1 Jac., I, 13.
902-2 I Cor., X, 13.
904-1 Tob., XII, 13.
906-1 La Filotea, P. IV., c. III (Salesiana, Torino).
907-1 S. Fr di Sales racconta (La Filotea, P. IVª, c. IV) che a S. Caterina da Siena, violentemente tentata contro la castità, Nostro Signore disse: "Dimmi un poco: quei brutti pensieri del tuo cuore ti davano piacere o tristezza, amarezza o diletto?" Caterina rispose: "Somma amarezza e tristezza". Nostro Signore la consolò aggiungendo che quelle pene erano gran merito e gran guadagno.
907-2 La Filotea, l. c., c. VI.
908-1 "Si è talora colti da qualche sollecito di dilettazione prima che si sia avuto tempo di mettersi bene in giardia: or ciò non può essere per lo più che un ben leggiero peccato veniale, il quale però si fa maggiore se, appena uno si è accorto del male in cui si trova, rimane per negligenza a discutere qualche tempo con la dilettazione, se la debba accogliere o rifiutare." (La Filotea, l. c., c. VI).
911-1 Matth., XXVI, 41.
912-1 Marc., XIV, 29.
912-2 I Cor., X, 12.
912-3 I Cor., X, 13.
912-4 Questa mollezza è ben descritta da Mgr Gay, Vita e virtù crist., Tr. VIII, pag. 525-526: "Dorme e resta quindi esposta ai colpi del nemico l'anima pigra, l'anima molle, codarda, pusillanime, che di ogni sacrificio si spaventa, di ogni lavoro serio si abbatte, che, ricca forse di desideri, resta povera di risoluzioni e più ancora di opere, che si risparmia in tutto, che segue quasi sempre le sue inclinazioni e si abbandona alla corrente".
914-1 La Filotea, P. IVª, c. IX.
914-2 Eccli., XXI, 2.
915-1 Marc., VIII, 33.
916-1 La Filotea, P. IVª, c. VII.
919-1 Luc., XV, 21.
919-2 Si veda G. Tissot, L'arte di utilizzare le proprie colpe secondo le dottrine di S. Francesco di Sales.
919-3 De corrept. et gratiâ, c. I.
920-1 S. Fr. di Sales, La Filotea, P. IVª, c. XIII-XV;
F. Guilloré, Les secrets de la vie spirituelle, tr. VI;
G. Faber, Progressi, c. XXIII;
Dom Lehodey, Le saint Abandon, p. 344 ss.;
P. de Smedt, Notre vie surnat., P. IIIª, c. V.
923-1 S. Fr. di Sales, La Filotea, P. IVª, c. XIII.
924-1 La Filotea, P. IVª, c. XIII.
927-1 La Filotea, P. IVª, c. XIV.
928-1 Luc., XXII, 42.
934-1 S. Ignazio, Eserc. spir., Regulæ de scrupulis;
Alzarez de Paz, t. II, l. I, P. IIIª, c. XII, § V;
Scaramelli, Dirett. ascetico, tr. II, art. XI;
Schram, Inst. theol. mysticæ, t. I, § 73-83;
S. Alfonso, Theol. Mor., tr. I, De conscientia, n. 10-19;
Lombez, Paix intérieure, P. IIª, c. VII;
G. Faber, Progresso, c. XVII;
Dubois, L'angelo conduttore delle anime scrupolose;
P. De Lehen, La via della pace interna, P. IVª;
A. Eymieu, Il governo di sè, t. II, L'ossessione e lo scrupolo;
Dom. Lehodey, Le saint Abandon, p. 407-414;
Gemelli, De scrupulis, 2ª edizione, 1921;
Turco, Il trattamento morale dello scrupolo e dell'ossessione morbosa (Marietti, Torino).
951-1 S. Tommaso, Iª IIæ, q. 80, a. 4; De Imitatione Christi, l. III, c. 54, De diversis motibus naturæ et gratiæ;
S. Ignazio, Exercitia spiritual., Regulæ aliquot, etc.;
Scaramelli, Il discernimento degli spiriti;
Card. Bona, De discretione spirituum;
Ribet, L'Ascétique, c. XL;
Mgr A. Chollet, Discernement des esprits, Dict. de Théologie, t. IV, 1375-1415, con copiosa bibliografia.
Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@gmail.com>.
Ultima revisione: 26 ottobre 2007.