ADOLFO TANQUEREY
Compendio di Teologia Ascetica e Mistica
PARTE SECONDA
Le Tre Vie
LIBRO II
La via illuminativa
o lo stato delle anime proficienti
I contrattacchi del nemico.
1262. Mentre noi stiamo lavorando all'acquisto delle virtù, i nostri nemici spirituali non stanno inoperosi ma tornano di soppiatto all'assalto, sia ridestando in noi, sotto forma più attenuata i sette vizi capitali; sia portandoci alla tiepidezza.
ART. I. RISVEGLIO DEI VIZI CAPITALI.
1263. S. Giovanni della Croce descrive molto bene questi vizi capitali, quali si trovano in quelli che egli chiama incipienti, vale a dire in coloro che stanno per entrare nella contemplazione con la notte dei sensi 1263-1. Non faremo quasi altro che condensarne la fine analisi psicologica.
I. Dell'inclinazione all'orgoglio.
1264. Quest'inclinazione negl'incipienti si manifesta in sei modi principali:
1) Mirando al fervore e fedeli agli esercizi, questi incipienti si compiacciono nelle loro opere e hanno eccessiva stima di sè; presuntuosi, vanno formando molti disegni e non ne mettono quasi nessuno in esecuzione.
2) Parlano di cose spirituali più per dar lezioni altrui che per metterle in pratica loro; onde condannano aspramente quelli che non approvano il loro genere di spiritualità.
3) Ce n'è pure di quelli che non possono tollerar rivali; e se per caso se ne presenta qualcuno, lo condannano e lo screditano.
4) Cercano di cattivarsi la stima e l'intimità del direttore, e se questi non ne approva lo spirito, vanno da un altro che sia più favorevole. A meglio riuscirvi, attenuano le proprie colpe, e, se cadono in qualche fallo più grave, vanno a confessarlo ad altro confessore e non al direttore ordinario.
5) Se accade che commettano un peccato grave, si sdegnano contro di sè e si scoraggiscono, indispettiti di non essere ancora santi.
6) Godono di fare i singolari con esterne dimostrazioni di pietà, e raccontano volentieri agli altri le buone loro opere e i loro buoni successi.
II. Dei peccati di sensualità.
1265. A) La golosità spirituale si palesa in due modi:
a) Coll'eccessivo gusto delle consolazioni: si cercano perfino nelle austerità, per esempio nella disciplina, e si importuna il direttore per ottenere il permesso di mortificarsi nella speranza di averne consolazioni.
b) Per la stessa ragione, vi sono persone che fanno sforzi di testa nell'orazione e nella comunione onde procurarsi devozione sensibile, oppure desiderano confessarsi spesso per trovare consolazioni in tale esercizio. Spesso questi sforzi e questi desideri restano vani, e allora lo scoraggiamento invade tali anime più attaccate alle consolazioni che a Dio.
1266. B) La lussuria spirituale si presenta sotto due forme principali: a) si cercano amicizie sensibili o sensuali sotto pretesto di devozione, e non ci si vuole rinunziare, perchè si pretende che tali relazioni giovino a fomentar la pietà. b) Talora le consolazioni sensibili provate nell'orazione o nella comunione cagionano in persone di indole dolce e affettuosa sensazioni d'altro genere, che possono diventare fonte di tentazione o di inquietudine 1266-1.
1267. C) L'accidia porta: a) ad annoiarsi negli esercizi spirituali quando non vi si prova gusto sensibile, ad abbreviarli o sopprimerli; b) a lasciarsi abbattere quando si ricevono dal superiore o dal direttore ordini o consigli che paiono troppo penosi: vorremmo una spiritualità più condiscendente, che non ci turbasse i comodi e non ci guastasse i piccoli disegni.
1268. Quest'avarizia è così descritta da San Giovanni della Croce 1268-1:
a) "Vi sono incipienti che non si saziano mai di ascoltare consigli e precetti spirituali e di avere e leggere quantità di trattati speciali, consumando piuttosto il tempo in questo che in mortificarsi ed esercitarsi nel perfetto spogliamento interiore dello spirito. b) Si caricano inoltre di immagini, di rosari, di croci molto curiose e costose. Ora lasciano queste e prendendo quelle; ora fanno baratti e li disfanno; le vogliono così e così; attaccandosi più a questa che a quella, perchè più curiosa e preziosa". Tutto questo è apertamente contrario allo spirito di povertà, e mostra nello stesso tempo che si dà troppa importanza all'accessorio, trascurando ciò che è principale nella devozione.
1269. Conclusione. È chiaro che tali imperfezioni sono di gran danno al progresso spirituale. Ecco perchè, dice S. Giovanni della Croce, Dio, per correggerli, li introduce nella notte oscura di cui presto diremo. Le anime poi che non vi sono introdotte si studieranno di liberarsi da questi impacci, praticando quanto abbiamo detto sul modo di trar profitto dalle consolazioni e dalle aridità, n. 921-923; sull'obbedienza, sulla fortezza, sulla temperanza, sull'umiltà e sulla dolcezza, nn. 1057, 1076, 1127, 1154.
ART. II. LA TIEPIDEZZA 1270-1.
Chi non combatte gl'indicati difetti, cade presto nella tiepidezza, malattia spirituale molto pericolosa, di cui esporremo:
1270. 1° Nozione. La tiepidezza è malattia spirituale che può assalire gl'incipienti o i perfetti, ma che si manifesta soprattutto nel corso della via illuminativa. Suppone infatti che si sia acquistato un certo grado di fervore e che poi uno si lasci andare a poco a poco alla rilassatezza.
La tiepidezza consiste in una specie di rilassamento spirituale che allenta le energie della volontà, ispira orrore dello sforzo e conduce così al deperimento della vita cristiana. È una specie di languore e di torpore, che non è ancora la morte, ma che insensibilmente vi conduce affievolendo a grado a grado le forze morali. Si può paragonare alle malattie di consunzione, che, come l'etisia, corrodono a poco a poco qualcuno degli organi vitali.
1271. 2° Le cause. Due cause principali contribuiscono a svilupparla: alimentazione spirituale diffettosa, e invasione di qualche germe morboso.
A) A vivere e progredire l'anima ha bisogno di buona alimentazione spirituale; ora ciò che la alimenta sono i vari esercizi di pietà, meditazione, letture, preghiere, esami, adempimento dei doveri del proprio stato, pratica delle virtù, che la mettono in comunione con Dio, fonte della vita soprannaturale. Se quindi si fanno questi esercizi con negligenza, se uno s'abbandona volontariamente alle distrazioni, se non combatte l'abitudine o il torpore, viene a privarsi di molte grazie, si nutrisce male, diventa debole, incapace di praticare le virtù cristiane per poco che siano difficili.
Notiamo di passaggio che questo stato è molto diverso dall'aridità o dalle prove divine: in queste, in cambio di ammettere le distrazioni, si è dolenti e umiliati di averle, e si fanno seri sforzi per diminuirne il numero; nella tiepidezza invece, uno si lascia facilmente andare a pensieri inutili, vi prova piacere, non fa quasi nessuno sforzo per cacciarli, e presto le distrazioni invadono quasi intieramente le preghiere.
E allora, vedendo il poco frutto che si ricava da tali esercizi, si comincia ad abbreviarli, aspettando il momento di sopprimerli. Così, per esempio, l'esame di coscienza, diventato noioso, molesto, semplice abitudine, finisce coll'essere omesso; onde uno, non rendendosi più conto delle sue colpe e dei suoi difetti, lascia che piglino il sopravvento. Non si fanno più sforzi per acquistare le virtù, e presto i vizi e le cattive inclinazioni accennano a rifiorire.
1272. B) Il risultato di questa apatia spirituale è il progressivo infiacchimento dell'anima, una specie di anemia spirituale che apre la via all'invasione d'un germe morboso, vale a dire ad una delle tre concupiscenza, o talora anche a tutte e tre insieme.
a) Essendo le vie di accesso all'anima mal custodite, i sensi interni ed esterni s'aprono facilmente alle perniciose suggestioni della curiosità e della sensualità e sorgono frequenti tentazioni che vengono spesso respinte solo a metà. Il cuore si lascia talora arretire in pericolosi affetti; si commettono imprudenze, si scherza col fuoco; i peccati veniali crescono e se ne ha appena qualche dispiacere: si scivola su un pericoloso pendìo, si fiancheggia l'abisso, ed è gran ventura se insensibilmente non vi si trabocca.
b) D'altra parte l'orgoglio, non mai ben represso, rinnova i suoi assalti; si continua a compiacersi di sè, delle proprie doti, dei buoni successi esterni. A meglio glorificarsi, uno si paragona con altri più rilassati di lui, disprezzando come animi gretti e meticolosi i fedeli al dovere. Quest'orgoglio porta all'invidia, alla gelosia, a impeti d'impazienza e di collera, ad asprezze nelle relazioni col prossimo.
c) La cupidigia si riaccende: occorre denaro onde procacciarsi maggiori godimenti e fare miglior comparsa; e a procurarselo si ricorre a mezzi poco delicati, poco onesti, che rasentano l'ingiustizia.
1273. Quindi peccati veniali numerosi e deliberati, a cui appena si bada, perchè il giudizio della mente e la delicatezza della coscienza a poco a poco s'affievoliscono: si vive infatti in dissipazione abituale e si fanno male gli esami di coscienza. Quindi diminuisce l'orrore del peccato mortale, le grazie di Dio si fanno più rare e se ne trae minor profitto; insomma tutto l'organismo spirituale s'infiacchisce e quest'anemia prepara vergognose cadute.
1274. 3° I gradi. Risulta da quanto abbiamo detto che vi sono molti gradi nella tiepidezza; ma in pratica basta distinguere la tiepidezza iniziata e la tiepidezza consumata.
a) Nel primo caso si ha ancora orrore del peccato mortale, benchè si commettano imprudenze che possono condurvi: si cade però facilmente in peccato mortali deliberati, massimamente in quelli che dipendono dal difetto dominante; si mette poi poca attenzione negli esercizi di pietà che si fanno spesso per abitudine. b) A forza di lasciarsi andare a tali colpevoli negligenze, l'orrore istintivo per il peccato mortale cessa e l'amore del piacere cresce così che si arriva a deplorare che questo o quell'altro diletto sia proibito sotto pena di colpa grave. Onde si cacciano ormai molto fiaccamente le tentazioni e viene il momento in cui uno dubita, e non senza ragione, se sia ancora in istato di grazia: è la tiepidezza consumata.
II. I pericoli della tiepidezza.
1275. Il pericolo speciale di questo stato sta nel progressivo indebolimento delle forze dell'anima che è ancor più pericoloso di un peccato mortale isolato. In questo senso Nostro Signore dice al tiepido: "Conosco le opere tue e che non sei nè freddo nè caldo. Sarebbe meglio che tu fossi o freddo o caldo. Ora perchè sei tiepido, nè freddo nè caldo, comincerò a vomitarti dalla mia bocca. Tu vai dicendo: sono ricco e dovizioso e non ho bisogno di nulla; e non sai che sei meschino e miserabile e povero e cieco e nudo" 1275-1. Tal è del resto la differenza che corre tra le malattie croniche e le acute: queste, guarite che siano, non si lasciano spesso dietro nessun molesto vestigio; le prime invece, avendo lentamente esaurito il corpo, lo lasciano a lungo in stato di grande debolezza. Vediamo la cosa un poco più ampiamente.
1276. 1° Il primo effetto della tiepidezza è una specie di accecamento della coscienza; a forza di voler sempre scusare e palliare le proprie colpe, si giunge a falsarsi il giudizio e considerar come leggere colpe che in sè sono gravi; onde uno si forma una coscienza lassa, che non sa più rilevare la gravità delle imprudenze o dei peccati che si commettono, che non ha più sufficiente virtù per detestarli e che cade presto in colpevoli illusioni: "Tal via pare ad uno diritta che poi finisce in fondo alla morte: est via quæ videtur homini justa, novissima autem ejus ducunt ad mortem" 1276-1. Uno si crede ricco perchè è superbo, ma in realtà è povero e miserabile agli occhi di Dio.
1277. 2° Ne segue un progressivo infiacchimento della volontà.
a) A furia di concessioni fatte alla sensualità e all'orgoglio in cose piccole, si giunge a cedere in cose più importanti; perchè tutto è connesso nella vita spirituale. La S. Scrittura c'insegna che chi trascura il poco che ha, andrà presto in rovina 1277-1; che chi è fedele nelle cose piccole, lo è pure nelle grandi, e che chi è ingiusto nelle cose piccole lo è pure nelle grandi 1277-2; il che significa che l'attenzione o la negligenza che uno mette in certe azioni, la mette poi anche in azioni simili.
b) Si arriva presto alla ripugnanza allo sforzo: essendo allentata l'energia della volontà, uno si abbandona alle inclinazioni della natura, alla noncuranza, all'amore del piacere. Pendìo pericoloso che, chi presto non lo risalga, conduce a colpe gravi.
c) Infatti, così operando uno abusa delle grazie, resiste spesso alle ispirazioni dello Spirito Santo, e quindi ascolta più facilmente la voce del piacere, cede alle cattive inclinazioni e finisce col peccare gravemente.
1278. Caduta tanto più difficile a riparare in quanto che è quasi insensibile; si scivola, a così dire, in fondo all'abisso senza gravi scosse. Uno tenta allora d'illudersi cercando di persuadersi che il peccato è solo veniale, che, se la materia è grave, non ci fu però pieno consenso, che fu peccato di sorpresa da non potere arrivare a mortale.
Così uno si falsa la coscienza e non fa che una confessione superficiale come le precedenti. Il confessore ne resta ingannato, e può essere l'inizio di una lunga serie di sacrilegi. Quando una palla piomba dall'alto ha forza di rimbalzare, ma se scivola in fondo all'abisso, vi rimane: tal è qualche volta la sorte delle anime tiepide! Conviene quindi indicarne i rimedi.
III. I rimedi della tiepidezza.
1279. Nostro Signore stesso indica questi rimedi: "Ti consiglio di comprare da me dell'oro provato al fuoco onde tu ti arricchisca (è l'oro della carità e del fervore) e delle vesti bianche da vestirtene, onde non apparisca la vergogna della tua nudità (le vesti bianche della purità di coscienza) e del collirio da ungertene gli occhi onde tu vegga (il collirio della sincerità con se stesso e col confessore). Io quelli che amo li riprendo e li castigo. Abbi adunque zelo e fa penitenza. Ecco che io sto alla porta e picchio: se qualcuno udrà la mia voce e m'aprirà la porta, entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me" 1279-1. Non bisogna dunque mai disperare: Gesù è sempre pronto a restituirci la sua amicizia e anche la sua intimità, se ci convertiamo. Onde:
1280. 1° Bisogna ricorrere frequentemente a un savio confessore, aprirgli francamente l'anima e pregarlo sinceramente di scuoterci dal nostro torpore; e poi riceverne e seguirne i consigli con energia e costanza.
2° Sotto la sua direzione si tornerà alla pratica fervorosa degli esercizi spirituali, soprattutto di quelli che assicurano la fedeltà agli altri, l'orazione, l'esame di coscienza e l'offerta spesso rinnovata delle proprie azioni, n. 523-528. Il fervore di cui qui si tratta non è il fervore sensibile, ma la generosità della volontà che si sforza di non ricusar nulla a Dio.
3° Si riprenderà pure la pratica assidua delle virtù e dei doveri del proprio stato, facendo a mano a mano l'esame particolare sui punti principali e rendendone poi conto in confessione, nn. 265, 468-476.
Si tornerà così al fervore; non si dimentichi però che le colpe passate esigono riparazione in spirito e opere di penitenza.
APPENDICE: REGOLE SUL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI PER LA VIA ILLUMINATIVA.
1281. Abbiamo già esposte, seguendo S. Ignazio, le regole sul discernimento degli spiriti per gl'incipienti, n. 953-957. È utile compendiare or qui quelle che questo santo dà per la via illuminativa, o per la seconda settimana degli Esercizi. Si riferiscono a due punti principali:
b) Dio solo può dare la vera consolazione senza che ci sia preceduta alcuna causa capace di produrla: egli solo infatti può penetrare nell'intimo dell'anima per attirarla e volgerla a sè. Diciamo che la consolazione non ebbe causa precedente quando nulla si presentò atto a farla nascere. Poniamo che, mentre l'anima sta immersa nella desolazione, si senta tutt'a un tratto rassicurata, piena di gioia, di forza e di buona volontà; tale ful il caso di S. Francesco di Sales dopo i violenti scrupoli che l'avevano assalito.
c) Quando è preceduta da una causa, la consolazione può provenire dallo spirito buono o dal cattivo: viene dal primo, se rende l'anima più illuminata e più forte nel bene; viene dal demonio, se produce il rilassamento, la mollezza, l'amor dei godimenti o dell'onore, la presunzione. Ossia si giudica l'albero dai frutti.
d) È proprio dell'angelo cattivo di trasformarsi in angelo di luce, di assecondare sulle prime i sentimenti dell'anima pia e finir poi con ispirarle i suoi. Così, quando vede che un'anima si dà alla virtù, le suggerisce da principio sentimenti conformi alle virtuose sue disposizioni; poi, toccandone l'amor proprio, le suggerisce sentimenti di vana compiacenza o di presunzione, eccessi nelle penitenze, per condurla poi allo scoraggiamento; o per opposto qualche addolcimento nel genere di vita, sotto pretesto di salute o di studi. Onde la fa a poco a poco decadere.
1283. 2° Regole sui desideri o disegni. a) Nei nostri desideri e nei nostri disegni dobbiamo attentamente esaminare se il principio, il mezzo e il fine tendono al bene; perchè, se in alcuno di questi momenti c'è qualche cosa di cattivo, di dissipato, o di meno buono di quello che ci eravamo già proposti; o se questi desideri ci inquietano l'anima, la turbano e la indeboliscono, è prova che procedono dal cattivo spirito, nemico del nostro progresso e della nostra eterna salute. La ragione è che, perchè un'azione sia buona, non ci dev'essere nulla di contrario alla volontà di Dio o al bene spirituale dell'anima; se quindi in alcuno dei suoi elementi si scorge qualche difetto, è questo il segno dello spirito maligno.
b) Scoperto che sia questo intervento del demonio, è cosa utile rifare il corso dei buoni pensieri e vedere in che modo i demonio si sia a poco a poco introdotto nell'anima per turbarla e tentare d'indurla al male. Questa esperienza ci somministrerà i mezzi di stare più tardi in guardia contro gli artifizi del nemico.
c) C'è pure un'altra regola tratta dal modo di operare del buono e del cattivo spirito: il primo opera dolcemente sull'anima che progredisce, come rugiada che penetra una spugna; il secondo opera rumorosamente, come temporale che picchia sui sassi.
d) Anche quando la consolazione viene da Dio, bisogna saper distinguere tra il tempo della consolazione e quello che la segue: nel primo si opera sotto l'ispirazione della grazia; nel secondo si formano risoluzioni e disegni che non sono immediatamente ispirati da Dio e che devono quindi essere diligentemente esaminati secondo le regole precedenti.
1284. 3° A queste regole tracciate da S. Ignazio se ne possono aggiungere alcune altre che risultano da quanto abbiamo detto in questo secondo libro.
a) Aspirare a una perfezione intempestiva, al di fuori dei doveri del proprio stato, praticando virtù di parata e rendendosi singolare, è segno dello spirito cattivo, perchè il buono ci porta certamente ad alta perfezione ma compatibile coi doveri del nostro stato e con la vita umile e nascosta.
b) Il disprezzo delle cose piccole e il desiderio di santificarsi in grande non sono segno dello spirito buono, che inclina alla perfetta fedeltà ai doveri del proprio stato e alla pratica delle piccole virtù: "iota unum aut unus apex non præteribit a lege, donec omnia fiant" 1284-1.
c) Il volontario compiacersi di sè quando si crede di aver fatto bene, il desiderio di essere stimati per la pietà e la virtù, sono cose opposte allo spirito cristiano che cerca prima di tutto di piacere a Dio: "Si adhuc hominibus placerem, servus Christi non essem" 1284-2. Quindi la falsa umiltà che dice male di sè per farsi lodare, e la falsa dolcezza che non è in fondo se non desiderio di piacere agli uomini, sono contrarie allo spirito di Dio.
d) Lagnarsi, impazientirsi, disanimarsi nelle prove e nelle aridità, è segno dello spirito umano; lo spirito di Dio ci porta invece all'amore della croce, alla rassegnazione, al santo abbandono, e ci fa perseverare nell'orazione anche fra le aridità e le distrazioni.
1285. 1° Il fine della via illuminativa è di metterci alla sequela di Gesù, imitandone le virtù, per quanto lo consente la nostra debolezza; e così si cammina alla luce dei suoi esempi: "Qui sequitur me, non ambulat in tenebris, sed habebit lumen vitæ" 1285-1. Far di Gesù il centro dei nostri pensieri, dei nostri affetti, dell'intiera nostra vita: ecco l'ideale a cui ci studiamo di avvicinarci ogni giorno più.
Egli è per questo che l'orazione diventa affettiva, e che teniamo continuamente Gesù dinanzi agli occhi per adorarlo, nel cuore per amarlo e attirarlo in noi, nelle mani per praticare le virtù in unione con lui. Le virtù che pratichiamo sono le virtù teologali e le virti morali; e si prestano scambievolmente aiuto. Vi sono però come due fasi nello sviluppo della nostra vita: nella prima insistiamo di più sulle virtù morali, nella seconda sulle virtù teologali.
1286. 2° Bisogna infatti prima indocilire le nostre facoltà per unirle a Dio. Il che fanno le virtù morali:
1) La prudenza indocilisce l'intelletto, abituandolo a riflettere prima di operare, a consigliare con Dio e coi suoi rappresentanti, e lo fa quindi partecipare alla divina sapienza.
2) La giustizia indocilisce la volontà, abituandola a rispettare i diritti di Dio e del prossimo con la pratica della perfetta onestà, della religione e dell'obbedienza ai superiori; avvicinandoci così alla giustizia di Dio.
3) La fortezza indocilisce le passioni violente, ne modera e ne raffrena i traviamenti, ne dirige le forze vive verso il bene soprannaturale difficile a conseguire; ci fa praticare la magnanimità, la munificenza, la pazienza, la costanza, e ci avvicina così alla fortezza di Dio.
4) A smorzare e disciplinare l'amor del piacere, la temperanza ci aiuta a mortificar la gola con la sobrietà, a vincere la voluttà con la castità, a dominar la superbia con l'umiltà e la collera con la dolcezza. Così l'anima potrà praticar meglio le virtù unificative.
1287. 3° Viene allora la seconda fase della via illuminativa che ci unisce direttamente a Dio.
1) La fede, con le sue chiarità temperate da una certa oscurità, assoggetta e unisce l'intelletto a Dio e ci fa partecipare al pensiero divino.
2) La speranza, come leva potente, inalza la volontà, la distacca dalle cose terrene, ne rivolge i desideri e le ambizioni al cielo, e ci unisce a Dio, fonte della nostra felicità, onnipotente e infinitamente buono, dal quale fiduciosamente aspettiamo tutti gli aiuti necessari a conseguire il fine soprannaturale.
3) La carità ci solleva anche più in alto, ci fa amar Dio per se stesso, perchè è in sè infinitamente buono, e ci fa amare il prossimo per Dio, come riflesso delle divine sue perfezioni. Unisce quindi l'anima intieramente a Dio.
1288. 4° Nel corso delle nostre ascensioni bisogna certo che ci aspettiamo i contrattacchi del nemico: i sette peccati capitali tentano d'insinuarcisi, in forma attenuata, fin nel più intimo dell'anima e, se non stiamo all'erta, ci fanno cadere nella tiepidezza. Ma le anime vigilanti, appoggiandosi sopra Gesù, respingono questi assalti, anzi se ne giovano per rassodarsi nella virtù preparandosi così ai gaudii e alle prove della via unitiva.
1266-1 S. Teresa, scrivendo al fratello Lorenzo de Cepeda che s'era lagnato di noie cosiffatte, gli dà questo consiglio: "Quanto alle miserie di cui vi lagnate, non bisogna farne caso. Benchè io non possa parlarne per esperienza, perchè Dio mi ha sempre preservata da tali passioni, pure mi spiego la cosa. L'intensità stessa delle delizie dell'anima produce cotesti moti nella natura. È cosa che con la grazia di Dio passerà, se baderete a non impensierirvene". (Versione del P. Federico da S. Antonio, T. III, Parte I, Lett. XXXII, p. 139).
1268-1 Notte oscura, c. III, n. 1.
1270-1 Bellecio, Solidæ virtutis impedimenta, P. I, c. II;
Bourdaloue, Ritiro, 3° giorno, med. Iª; e in generale tutti gli autori di Esercizi spirituali;
G. Faber, Progressi dell'anima, c. XXV (Marietti, Torino).
1275-1 Apoc., III, 15-17.
1276-1 Prov., XIV, 12.
1277-1 Eccli., XIX, 1.
1277-2 Luc., XVI, 10. -- In senso letterale la cose piccole indicano i beni temporali e le grandi i beni celesti.
1279-1 Apoc., III, 18-20.
1284-1 Matth., V, 18.
1284-2 Gal., I, 10.
1285-1 Joan., VIII, 12.
1287-1 Joan., VI, 58.
Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@gmail.com>.
Ultima revisione dell'HTML: 15 gennaio 2006.