ADOLFO TANQUEREY
Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

PARTE SECONDA
Le Tre Vie

LIBRO III
La via unitiva


CAPITOLO IV.

Questioni controverse 1550-1.

1550.   Abbiamo fin qui esposta la dottrina comunemente accettata nelle varie scuole di spiritualità; e il lettore si sarà accorto che è pienamente sufficiente a guidare e innalzare le anime alla più alta perfezione, non avendo Dio voluto legare il progresso nella santità alla soluzione di questioni liberamente disputate. Ora però crediamo opportuno di esporre brevemente i principali punti controversi; e lo faremo con la maggiore imparzialità possibile, non già col pensiero di conciliare le discordi opinioni (cosa impossibile), ma per tentare un ravvicinamento fra i moderati delle varie scuole.

1551.   Cause di questi dispareri. Diciamo prima una parola sulle principali cagioni di questa diversità d'opinioni.

1) La prima viene certamente dalla stessa difficoltà ed oscurità di cosiffatte questioni. Non è infatti cosa facile penetrare gli arcani disegni di Dio sulla universale vocazione dei battezzati alla contemplazione infusa e determinar la natura di quest'atto misterioso in cui Dio ha la parte principale e l'anima è più passiva che attiva e dove riceve luce e amore senza perdere la libertà. Non è quindi da stupire se gli autori che si studiano di darsi ragione di queste mirabili cose non giungano sempre a uguali spiegazioni.

2) Altra causa è la diversità dei metodi. Come dicemmo al n. 28, tutte le scuole si studiano di conciliare insieme i due metodi sperimentale e deduttivo; ma mentre gli uni si attengono principalmente all'esperienza, gli altri si fondano di più sul metodo deduttivo. Onde conclusioni diverse: gli uni, colpiti dal piccolo numero dei contemplativi, spiegheranno la cosa dicendo che non tutti sono chiamati alla contemplazione; gli altri, considerando che abbiamo tutti un organismo soprannaturale sufficiente per giungere alla contemplazione, ne conchiuderanno che, se i contemplativi sono pochi, n'è causa l'esser poche le anime così generose da fare i sacrifici necessari alla contemplazione.

1552.   3) Il contrasto cresce a cagione del temperamento, dell'educazione, del genere di vita che si conduce: vi sono persone naturalmente più di altre atte alla contemplazione, e quando questa attitudine venga fomentata dall'educazione e dal modo di vivere, si è spontaneamente inclinati a pensare che la contemplazione sia qualche cosa di normale; altri invece, d'indole più attiva, trovando nel temperamento e nelle occupazioni maggiori ostacoli alla contemplazione, facilmente ne conchiudono che si tratti di uno stato straordinario.

4) Non bisogna infine dimenticare che i sistemi filosofici e teologici che uno segue sulla conoscenza e sull'amore, sulla grazia efficace e sulla sufficiente, hanno il contraccolpo sulla teologia mistica; chi, per esempio, ammette coi Tomisti che la grazia è efficace per se stessa, è più disposto a vedere nello stato passivo la continuazione dello stato attivo, perchè anche in quest'ultimo si opera già sotto la efficace mozione della grazia.

Nessuno quindi si ha da stupire che su punti così ardui vi siano dispareri, ed è libero di scegliere quel sistema che gli pare più sodo.

A tre si possono ridurre le questioni oggi controverse:

§ I. Controversia sulla natura della contemplazione.

1553.   Tutti ammettono che la contemplazione infusa o mistica è gratuito dono di Dio, che ci mette nello stato passivo e ci dà di Dio tal conoscenza ed amore che noi non abbiamo che da ricevere. Ma in che propriamente consiste questa conoscenza? Ella è certo distinta da quella che acquistiamo col lume della fede; è, a comune parere, sperimentale o quasi sperimentale, n. 1394. Ma è poi immediata, senza intermedio, oppure mediata, con specie o acquisite od infuse? Ecco quindi due sistemi.

1554.   1° Teoria della conoscenza immediata. Questa teoria che s'appoggia sull'autorità del Pseudo Dionigi, della scuola di S. Vittore e della scuola mistica fiamminga, afferma che la contemplazione infusa è una percezione o intuizione o visione immediata, benchè oscura e confusa, di Dio; essendo immediata, si distingue dalla ordinaria conoscenza della fede; essendo oscura, differisce dalla visione beatifica. Vi sono poi piccole sfumature nel modo di esporla.

Così il P. Poulain 1554-1, fondandosi sulla teoria del sensi spirituali, pensa che l'anima contemplativa senta direttamente la presenza da [sic] Dio: "Durante quest'unione, quando non è troppo alta, siamo come chi sta presso un amico ma in luogo intieramente oscuro e in silenzio. Non si vede, non si ascolta l'amico, si sente soltanto che c'è per mezzo del tatto, perchè lo teniamo per mano. E si sta così pensando a lui e amandolo".

1555.   Il P. Maréchal, avendo rilevato che i mistici affermano, nello stato di alta contemplazione, di avere un'intuizione intellettiva di Dio e dell'indivisibile Trinità, pensa che l'alta contemplazione inchiuda un elemento nuovo, qualitativamente distinto dalle attività normali e dalla grazia ordinaria... la presentazione attiva, non simbolica, di Dio all'anima, con ciò che psicologicamente le corrisponde, l'intuizione immediata di Dio da parte dell'anima" 1555-1. Il che, aggiunge, non deve parere poi troppo strano, chi ammetta (come dissi più sopra) che l'intuizione dell'essere è, a così dire, il centro di prospettiva dell'umana psicologia.

Questa teoria è perfezionata dal P. Picard 1555-2. Dopo aver detto che, sotto l'aspetto naturale, un afferramento o intuizione immediata, ma confusa ed oscura, di Dio non è impossibile, dimostrata che ne sia con le classiche prove l'esistenza, fa l'applicazione della teoria alla contemplazione mistica. Questo Dio, la cui presenza si è fatta sentire nell'intimo dell'anima, "ora se ne impossessa traendola per le facoltà conoscitive che concentra su di sè, nel silenzio, nell'ammirazione e nella pace; ora l'afferra da padrone per la volontà e per le potenze affettive... quando cotesta presa da parte di Dio si fa sentire all'anima piuttosto per le facoltà conoscitive, abbiamo l'orazione di raccoglimento; quando invece l'anima si sente afferrata per le potenze volitive ed affettive, è allora nell'orazione di quiete". L'autore poi mostra che, a mano a mano che Dio accresce il vigore della sua stretta e le dà più assoluto, più esclusivo, più profondo impero, l'anima va progredendo nei gradi superiori della contemplazione.

Osserva infine che questa teoria è cosa ben distinta dall'ontologismo; perchè afferma che il concetto di essere nasce dalla percezione dell'essere finito, che è concetto analogo, e che non può essere applicato a Dio se non dopo dimostratane l'esistenza. E rigetta pure la visione in Dio; perchè è la nostra mente finita ed imperfetta, che, con le sue sole idee ed atti finiti ed imperfetti, afferra tutte le verità che viene a conoscere; ma poi cotesta intuizione è essenzialmente confusa ed oscura.

1556.   2° Conoscenza mediata. L'opinione però comunemente ammessa è che la conoscenza del contemplativo, per quando perfetta, sia mediata e insieme confusa ed oscura, benchè quasi sperimentale. Nei primi gradi Dio si contenta di irradiar la sua luce, la luce dei doni, su concetti che già abbiamo, sia con l'attirar vivamente la nostra attenzione su una data idea sia col farci trarre da due premesse una conclusione che ci fa viva impressione, n. 1390; negli stati superiori poi, come nell'unione estatica, ci infonde nuove specie intelligibili che rappresentano le divine verità assai più vivamente che non facciano i nostri concetti; e avviene allora il ratto dell'anima percependo verità che le erano finallora sconosciute. E poichè gusta e assapora queste verità, ne ha una conoscenza quasi sperimentale. E quindi sempre conoscenza di fede, ma molto più viva e soprattutto molto più affettuosa della conoscenza ordinaria; la differenza sta in questo che è conoscenza ricevuta da Dio, perchè l'anima riceve nello stesso tempo conoscenza ed amore e non ha che da acconsentire all'azione divina che produce in lei questi così preziosi doni.

1557.   Teniamo anche noi questa dottrina, già esposta nel capitolo secondo, parendoci che salvi meglio la differenza essenziale che deve correre tra la contemplazione, che resta mediata ed oscura, per speculum et in ænigmate, e la visione beatifica, che è immediata e chiara. Ma siamo ben lontani dall'accusare di ontologismo coloro che tengono per probabile l'opinione d'una intuizione immediata, dal momento che la dicono confusa ed oscura e rigettano il principio fondamentale dell'ontologismo affermando che la mente si innalza a Dio dalle creature 1557-1.

Certo alcuni mistici usano espressioni ardite che, a prima vista, paiono supporre che siano in immediato contatto con la sostanza divina e che vedano Dio; ma, quando se ne esamina il contesto, si vede che sono espressioni da riferirsi piuttosto agli effetti che l'azione divina produce nell'anima 1557-2. Col dono della sapienza noi gustiamo l'amore, il gaudio, la pace spirituale, che Dio ci mette nell'anima; onde il nome di gusti divini dato da S. Teresa all'orazione di quiete. Coi tocchi divini pare ai mistici che sia investita la stessa sostanza dell'anima loro, tanto profonda è l'mpressione dell'amor di Dio! Ma quando si fanno a specificar le proprie impressioni, le descrizioni che ne danno si riducono ai vari effetti d'un amore ardente e generoso. Si può quindi arguire che, se adoprano espressioni così forti, ne è causa la povertà dell'umano linguaggio nel descrivere le impressioni della grazia nell'anima.

§ II. La vocazione universale alla contemplazione.

1558.   Non si tratta qui della vocazione individuale e prossima alla contemplazione infusa, di cui dicemmo al n. 1406; su questo punto si è tutti d'accordo e si accetta da tutti la dottrina del Taulero e di S. Giovanni della Croce. Ma si tratta della vocazione remota sufficiente e generale; in altre parole si chiede: se tutte le anime in stato di grazia siano, in modo generale, remoto e sufficiente, chiamate alla contemplazione infusa. Su questo determinato punto ci sono due opposte soluzioni, che derivano, almeno in gran parte, dal diverso concetto che uno si fa della contemplazione.

1559.   1° La vocazione universale, remota e sufficiente, è oggi, con sfumature diverse, ammessa da gran numero di autori appartenenti a vari Ordini Religiosi, come Domenicani 1559-1 e Benedettini 1559-2; da alcuni pure tra i Francescani 1559-3, Carmelitani 1559-4, Gesuiti 1559-5, Eudisti 1559-6 e da sacerdoti del clero secolare 1559-7; si fondarono Riviste, specialmente la Vie Spirituelle, per propugnare e propagare questa opinione. -- Il P. Garrigou-Lagrange espone vigorosamente questa tesi, studiandosi di provare che la vita mistica è lo sviluppo normale della vita interiore e che quindi tutte le anime in stato di grazia vi sono chiamate. Ecco in breve i suoi argomenti:

a) Il principio radicale della vita mistica è lo stesso di quello della vita interiore comune: la grazia santificante o la grazia delle virtù e dei doni. Ora questi doni crescono con la carità, e giunti che siano al pieno sviluppo, operano in noi secondo il loro modo sovrumano, mettendoci nello stato passivo o mistico. Onde il principio della vita interiore contiene in germe la vita mistica, che è quaggiù come il fiore della vita soprannaturale.

1560.   b) Nel progresso della vita interiore, la purificazione dell'anima non diventa intiera che con le purificazioni passive. Ora queste purificazioni sono di ordine mistico. Quindi la vita interiore non può conseguire l'intiero suo progressivo sviluppo che con la vita mistica.

c) Il fine della vita interiore è lo stesso che quello della vita mistica, cioè una perfettissima disposizione a ricevere il lume della gloria subito dopo morte, senza passare per il purgatorio. "Ora la disposizione perfetta a ricevere la visione beatifica subito dopo l'ultimo respiro, non può essere che l'intensa carità di un'anima pienamente purificata, e l'ardente desiderio di veder Dio, quale si ha nell'unione mistica e specialmente nell'unione trasformativa. Questa dunque è veramente quaggiù l'ultimo grado di sviluppo della vita della grazia" 1560-1.

1561.   2° Teoria d'una vocazione speciale e limitata. Non tutti però sono convinti di questi argomenti: un gran numero d'autori spirituali, Gesuiti, come il Card. Billot, i PP. de Maumigny, Poulain, Bainvel, G. de Guilbert; Carmelitani Scalzi, come il P. Maria-Giuseppe del Sacro Cuore; e altri fuori di queste scuole, come Monsignor Lejeune e Monsignor Farges, pensano che la contemplazione infusa sia un dono gratuito che non viene dato a tutti, e che del resto non è necessario per giungere alla santità. Ne compendiamo qui gli argomenti 1561-1.

a) La precedente teoria è una magnifica costruzione teologica, non c'è che dire; però le pietre di quest'edifizio non paiono tutte ugualmente solide. Così non è dimostrato "che i sette doni corrispondano a sette distinti abiti infusi anzichè a sette ordini di grazie diverse al cui ricevimento le facoltà dell'intelletto e della volontà vengano preparate ognuna da un solo abito. E poi, quand'anche ciò fosse dimostrato, bisognerebbe ancora provare che i doni della Sapienza e dell'Intelletto non possano esercitar pienamente il loro ufficio se non nella contemplazione e non anche nel ricevimento delle grazie di luce che non inchiudono necessariamente questa particolar forma d'orazione; cosa anche questa che non è fuori di controversia 1561-2.

Parimente non è dimostrato che i doni operino sempre nel modo sovrumano; il Card. Billot 1561-3 pensa che questi doni operino in doppio modo, ora in modo ordinario, adattandosi al nostro modo umano di operare, e ora in modo straordinario, producendo in noi la contemplazione infusa.

1562.   b) Pare, è vero, che le prove passive siano il più potente mezzo a purificare un'anima, facendola passare per un vero purgatorio; ma non è forse possibile che, in questa valle di lagrime dove tante sono le occasioni di soffrire e di mortificarsi, si giunga, con la dolce rassegnazione alla volontà di Dio e con mortificazioni positive fatte sotto la guida dello Spirito Santo e d'un savio direttore, a fare il proprio Purgatorio su questa terra? È forse dimostrato che le grazie della contemplazione siano la sola forma di grazie privilegiate? Tutti ammettono che vi sono anime, non ancora innalzate alla contemplazione infusa, che pure sono più perfette di altre che Dio, per sua libera scelta, innalza alla contemplazione appunto per renderle migliori, n. 1407; ora se sono più perfette, ne viene che siano anche più purificate. Potrebbe quindi accadere che, al punto della morte, la loro purificazione fosse completa.

c) È vero che il fine della vita interiore come della vita mistica è di prepararci alla visione beatifica, e che l'unione trasformativa è, per certe anime, la preparazione migliore. Ma è poi l'unica? Vi sono anime che restano nell'orazione discorsiva ed affettiva e che pure sono modelli di virtù eroiche, comparendo sia esternamente come agli occhi di chi le conosce a fondo, anche più virtuose di altre che sono contemplative. È forse provato che i doni dello Spirito Santo non intervengano in modo eminente in quelle migliaia di giaculatorie, fatte da certe persone ogni giorno mentre attendono alle loro occupazioni, e nell'esercizio costante e soprannaturale dei doveri professionali, che per la loro continuità richiedono un coraggio eroico? Eppure, interrogando queste persone, non si trova vestigio di contemplazione propriamente detta, almeno abituale. -- Non si dovrà quindi confessare che Dio, il quale sa adattare le sue grazie al carattere, all'educazione, alla posizione provvidenziale di ognuno, non guida tutte le anime per le stesse vie, e che, pur volendo da ciascuna perfetta docilità alle ispirazioni dello Spirito Santo, si riserva di santificarle con mezzi diversi?

1563.   3° Tentativo di avvicinamento. Riflettendo sulle ragioni recate da una parte e dall'altra, ci pare che le due opinioni possano avvicinarsi.

A) Rileviamo prima di tutto i punti comuni sui quali i moderati delle due opinioni convengono.

a) Ci furono e ci possono essere contemplativi di ogni temperamento e di ogni condizione; ma nel fatto ci sono temperamenti e generi di vita più atti di altri alla contemplazione infusa. La ragione è che, quantunque la contemplazione sia un dono gratuito e Dio la conceda a chi vuole e quando vuole, n. 1387, Dio per altro suole adattare le grazie all'indole e ai doveri professionali di ciascuno.

b) La contemplazione non è la santità ma uno dei mezzi più efficaci per giungervi; la santità infatti consiste nella carità, nell'intima e abituale unione con Dio. Ora la contemplazione è certo in sè la via più corta per arrivare a quest'unione, ma non l'unica, e vi sono anime non contemplative "che possono essere più progredite nella virtù, nella vera carità, di altre che ricevettero più presto la contemplazione infusa" 1563-1.

c) Abbiamo tutti ricevuto nel battesimo un'organismo soprannaturale (grazia abituale, virtù e doni) che, giunto al pieno suo sviluppo, conduce normalmente alla contemplazione, nel senso che ci dà quella pieghevolezza e quella docilità onde Dio può metterci nello stato passivo quando e come vuole. Ma in pratica, vi sono anime che, senza lor colpa, non giungono quaggiù alla contemplazione 1563-2.

1564.   B) Non ostante l'accordo su questi punti importanti, rimangono disparità provenienti, a nostro parere, da tendenze più o meno favorevoli allo stato mistico e dal carattere più o meno ordinario o straordinario che si attribuisce a questo stato. Esporremo modestamente la nostra soluzione che comprende due affermazioni: a) la contemplazione infusa è in sè una normale continuazione della vita cristiana; bnel fatto però non pare che tutte le anime in stato di grazia siano chiamate a questa contemplazione, compresa l'unione trasformativa.

a) La contemplazione infusa, considerata indipendentemente dai fenomeni mistici straordinari che talvolta l'accompagnano, non è qualche cosa di miracoloso e di anormale, ma risulta da due cause: dalla coltura del nostro organismo soprannaturale, massime del doni dello Spirito Santo, n. 1355, e da una grazia operante che in sè non ha nulla di miracoloso. S'è detto infatti che l'infusione di nuove specie intellettive non è necessaria nei primi gradi di contemplazione, n. 1390. Si può pure aggiungere, con Congresso Carmelitano di Madrid, che la contemplazione è in sè il più perfetto stato di unione tra Dio e l'anima che si possa conseguire in questa vita; è l'ideale più alto e come l'ultima tappa della vita cristiana in questo mondo nelle anime chiamate alla mistica unione con Dio; è la via ordinaria della santità e della virtù abitualmente eroica 1564-1. Questa pare la dottrina tradizionale quale si trova negli autori mistici da Clemente Alessandrino a san Francesco di Sales.

1565.   b) Però da tali premesse non ne viene necessariamente che tutte le anime in stato di grazia siano veramente chiamate, sia pur remotamente, all'unione trasformativa. Come vi sono in paradiso diversissimi gradi di gloria, "stella enim a stella differt in claritate1565-1, così vi sono sulla terra diversi gradi di santità a cui le anime sono fin da questa vita chiamate. Ora Dio, sempre libero nella distribuzione dei suoi doni, e che sa adattare la sua azione al temperamento, all'educazione e al genere di vita di ciascuno, può per vie diverse elevare le anime al grado di santità a cui le destina.

A quelle che, per l'indole più attiva e per le occupazioni più gravi, paiono fatte più per l'azione che per la contemplazione, largirà grazie per esercitare principalmente i doni attivi: tali anime vivranno nell'intima e abituale unione con Dio, qualche volta anzi moltiplicheranno le giaculatorie oltre quanto parrebbe umanamente fattibile; e soprattutto adempiranno, alla presenza di Dio e per suo amore e con eroica assiduità, i mille piccoli doveri quotidiani, costantemente docili alle ispirazioni della grazia. Onde conseguiranno il grado di santità a cui Dio le destina anche senza l'aiuto, almeno abituale, della contemplazione infusa. Vivranno nella via unitiva semplice, quale abbiamo descritta al n. 1303 ss.

Si dice, è vero, che queste sono eccezioni e cha la via normale della santità è la contemplazione 1565-2. Ma quando tali eccezioni sono numerose, non se ne ha forse da tener conto nel problema della vocazione remota, dacchè il temperamento e i doveri del proprio stato sono elementi che aiutano a sciogliere la questione della vocazione?

In fondo si è più d'accordo che non paia al vario modo di parlare. Gli uni, guardando la cosa sotto l'aspetto astratto e formale, ammettono numerose eccezioni alla vocazione universale, tenendo però fermo il principio dell'universalità; gli altri, stando piuttosto ai fatti, preferiscono dire senz'altro che la vocazione non è universale, quantunque la contemplazione sia normale continuazione della vita cristiana.

1566.   c) La soluzione da noi proposta ci pare consona alla dottrina tradizionale. 1) Per un verso quasi tutti gli autori spirituali, da Clemente Alessandrino a S. Francesco di Sales, trattano della contemplazione come di normale coronamento della vita spirituale 1566-1. 2) Per altro verso sono pochi fra costoro quelli che esaminino esplicitamente la questione della vocazione universale alla contemplazione; chi lo fa, si rivolge per lo più ad anime elette, viventi in comunità contemplative o almeno molto fervorose. Quindi, quando asseriscono che tutti o quasi tutti possono arrivare alla fonte d'acqua viva (la contemplazione), intendono dei membri della loro comunità e non di tutte le anime in stato di grazia. Del resto, a partire dal secolo XVII, che è il tempo in cui s'incomincia a determinar meglio le cose, un gran numero d'autori richiedono per la contemplazione infusa una vocazione speciale, e molti esplicitamente affermano che si può arrivare alla santità senza questa contemplazione 1566-2.

Onde s'hanno da tener distinte le due questioni; e si può ammettere che la contemplazione sia la normale continuazione della vita spirituale senza asserire che tutte le anime in stato di grazia siano chiamate all'unione trasformativa.

1567.   Aggiungiamo che l'acquisto della santità e la direzione delle anime che vi tendono, non dipendono dalla soluzione di questo così arduo problema. Insistendo sulla cultura dei doni dello Spirito Santo e sul perfetto distacco da sè e dalle creature, guidandole a poco a poco all'orazione di semplicità, ammaestrandole ad ascoltare la voce di Dio e a seguirne le ispirazioni, si pongono le anime sulla via della contemplazione; il resto spetta a Dio, che solo può afferrar queste anime e, secondo il grazioso paragone di S. Teresa, collocarle nel nido, cioè nel riposo contemplativo.

§ III. Del momento in cui principia la contemplazione.

1568.   Col comune degli autori pensiamo che la contemplazione infusa appartenga alla via unitiva. Vi sono, è vero, casi eccezionali in cui Dio innalza alla contemplazione anime meno perfette, appunto nell'intento di perfezionarle più efficacemente, n. 1407; ma non è questo l'abituale suo costume.

Vi sono però gravi autori, come il P. Garrigou-Lagrange, che collocano nella via illuminativa la purificazione dei sensi e l'orazione di quiete. Si fondano sopra S. Giovanni della Croce, che nella Notte oscura scrive 1568-1: "La notte o purificazione sensitiva è comune, e accade a molti e questi sono i principianti... Uscì l'anima a principiare il cammino e la via dello spirito, che è quello dei proficienti e progrediti, e che con altro nome chiamano la via illuminativa o di contemplazione infusa, con cui Dio da sè va pascendo e ristorando l'anima, senza discorso nè aiuto attivo con industria della stessa anima". È testo che conosciamo da molto tempo, ma coll'Hoornaert 1568-2, traduttore del grande mistico, ne diamo interpretazione diversa. S. Giovanni della Croce non parla nelle varie sue opere che della contemplazione infusa, distinguendovi i principianti e i perfetti: i principianti sono per lui quelli che stanno per entrare nella purificazione passiva dei sensi; ecco perchè ne parla fin dal primo capitolo della Notte oscura; i progrediti sono quelli che entrarono nella contemplazione infusa, la quiete e l'unione piena; i perfetti sono quelli che passarono per la notte dello spirito e si trovano nell'unione estatica o nella trasformativa. È quindi un diverso aspetto.

1569.   Del resto, la ragione didattica, che deve dominare in un Compendio, vuole che si raggruppi insieme tutto ciò che riguarda i vari generi di contemplazione, onde farne spiccar meglio la natura e i vari gradi. Ecco perchè ci parve bene di conservare il disegno comunemente tenuto. Noto però subito che Dio, le cui vie sono molteplici e mirabili, non si attiene sempre ai quadri logici che noi andiamo tracciando; l'importante per il direttore è di assecondare i movimenti della grazia e non di precederli.

1570.   Ecco perchè terminando diremo coll'Ami du Clergé 1570-1 che: "queste vive discussioni teoriche sulla Mistica non impediscono che si sia sicuri sopra molte regole pratiche essenziali... Come per giovarsi delle virtù medicinali d'una pianta non è assolutamente indispensabile il conoscerne la famiglia e il nome scientifico, così è della contemplazione. Non si è pienamente d'accordo nè sulla definizione nè sul posto che le conviene nelle classificazioni teologiche... Ma i sacerdoti nostri confratelli, senza aspettare i risultati tecnici e teorici di queste discussioni, ne sanno abbastanza per conoscere la meta a cui sono avviate le anime generose e predestinate e per aiutarle a conseguirla". Il che si vedrà anche meglio dalle conclusioni che ora trarremo.

CONCLUSIONI DEL LIBRO TERZO:
DIREZIONE DEL CONTEMPLATIVI.

Abbiamo già nel corso del libro toccato più volte delle regole da tenere in questa direzione; conviene ora darvi uno sguardo complessivo indicando quale debba essere la condotta del direttore per preparare le anime alla contemplazione, per guidarle fra gli scogli che vi s'incontrano, per rialzarle se avessero la disgrazia di cadere.

1571.   1° È dovere pel direttore che dirige anime generose, il prepararle a poco a poco alla via unitiva e alla contemplazione. Qui però si devono schivare due eccessi: quello di volere indistintamente e sveltamente spingere tutte le anime pie alla contemplazione, e quello di credere cosa inutile l'occuparsene.

1572.   A) A schivare il primo scoglio: a) il direttore rammenti che normalmente non si può pensare alla contemplazione se non quando si siano lungamente praticate l'orazione e le virtù cristiane, la purità di cuore, il distacco da sè e dalle creature, l'umiltà, l'obbedienza, la conformità alla volontà di Dio, lo spirito di fede, di confidenza e di amore.

Ripenserà all'insegnamento di S. Bernardo 1572-1: "Se vi sono tra i monaci dei contemplativi, non sono certo i novizi nella virtù che, morti di recente al peccato, lavorano tra i gemiti e il timore del giudizio a guarirsi le ancor fresche piaghe. Ma sono coloro che, dopo lunga cooperazione alla grazia, fecero veri progressi nella virtù, non hanno più da volgere e rivolgere nella mente la triste immagine dei loro peccati, ma si dilettano ormai di meditare giorno e notte e praticare la legge di Dio.

b) Se notasse desideri troppo solleciti e presuntuosi per la contemplazione, dovrebbe cercare di calmarli, facendo osservare che nessuno vi si può ingerire da sè e che del resto le dolcezze dell'orazione sono ordinariamente precedute da dure prove.

c) Baderà bene di non confondere le consolazioni sensibili degl'incipienti o anche le spirituali dei proficienti coi gusti divini, n. 1439, e aspetterà, per dichiarare che si è entrati nello stato passivo, di scorgere i tre segni distintivi esposti ai nn. 1413-1416.

1573.   B) A schivare il secondo scoglio, rammenti che Dio, sempre liberale dei suoi doni, si comunica generosamente alle anime fervorose e docili.

a) Senza parlar direttamente di contemplazione, formerà le anime buone non solo alle virtù, ma anche alla devozione allo Spirito Santo; parlerà sovente dell'abituazione di questo divino Spirito nell'anima, del dovere di pensare spesso a lui, di adorarlo, di seguirne le ispirazioni, di coltivarne i doni.

b) Le aiuterà a poco a poco a renderne l'orazione più affettiva, a prolungare gli atti di religione, di amore, di dono di sè, di abbandono alla volontà di Dio, atti che spesso ripeteranno nella giornata con semplice elevazione di cuore, senza trascurare i doveri del proprio stato e la pratica delle virtù. -- Ove notasse che sono portate a starsene silenziosamente alla presenza di Dio per ascoltarlo e farne la volontà, ve le animerà dicendo che è ottima e fruttuosissima orazione.

1574.   2° Entrata che l'anima sia nelle vie mistiche, fa d'uopo al direttore di somma prudenza per guidarla fra le aridità e le divine dolcezze.

A) Nelle prove passive bisogna confortar l'anima contro lo scoraggiamento e le altre tentazioni, come abbiamo indicato nei nn. 1432-1434.

B) Nella contemplazione soave si può essere esposti alla ghiottoneria spirituale o alla vana compiacenza.

a) A schivare il primo difetto, conviene rammentar continuamente che non i gusti divini ma Dio solo bisogna amare, che le consolazioni sono soltanto mezzo per unirci a lui, e che si deve essere pronti a rinunziarvi di cuore non appena gli piaccia di privarcene: Dio solo basta!

b) Qualche volta pensa Dio stesso ad impedire i sentimenti d'orgoglio, imprimendo vivissimo nell'anima il sentimento del proprio nulla e delle proprie miserie e mostrandole chiaramente che questi favori sono un puro dono di cui non si può in alcun modo prevalere. Ma quando le anime non furono intieramente purificate dalla notte dello spirito, hanno bisogno, come dice S. Teresa, di esercitarsi continuamente nell'umiltà e nella conformità alla volontà di Dio, nn. 1447, 1474. Converrà premunirle specialmente contro il desiderio di visioni, di rivelazioni e altri fenomeni straordinari: cose che non è mai permesso desiderare e che i santi per umiltà premurosamente respingono, n. 1496.

1575.   C) Non dimenticherà che l'estasi è illusione quando non sia accompagnata dall'estasi della vita, secondo l'espressione di S. Francesco di Sales, vale a dire dalla pratica delle virtù eroiche, n. 1461. Grave illusione sarebbe il trascurare i doveri del proprio stato per aver più campo di attendere alla contemplazione; il P. Baldassarre Alvarez, che era stato confessore di S. Teresa, dichiara nettamente che bisogna lasciare la contemplazione per adempiere il proprio ufficio o soccorrere il prossimo nei suoi bisogni; e aggiunge che Dio dà a chi sa così mortificarsi maggior lume ed amore in un'ora d'orazione che ad altri in più ore 1575-1.

1576.   Illusione anche più grave sarebbe il credere che la contemplazione conferisca il privilegio dell'impeccabilità. La storia mostra che i falsi mistici i quali, come i Begardi e i Quietisti, si credevano impeccabili, caddero nei più grossolani vizi. S. Teresa insiste sempre sulla necessità della vigilanza a schivare il peccato, anche quando si sia giunti ai più alti gradi della contemplazione; e S. Filippo Neri soleva dire: "O mio Dio, non vi fidate di Filippo, chè altrimenti vi tradirà". Non possiamo infatti perseverare a lungo senza una grazia speciale; grazia che è concessa agli umili, i quali diffidano di sè e pongono tutta la loro fiducia in Dio.

1577.   3° Bisogna quindi prevedere il caso di anime contemplative che cadessero in peccato. Tali cadute possono provenire da parecchie cause:

a) L'anima era stata innalzata alla contemplazione prima di avere sufficientemente signoreggiate le passioni; e, in cambio di continuar vigorosamente la lotta, si addormentò in dolce riposo; insorsero violenti tentazioni e, troppo fidente di sè, la poveretta è miseramente caduta. -- Il rimedio è la compunzione, è il ritorno a Dio con cuore contrito ed umiliato, è una lunga e laboriosa penitenza; quanto più si è caduti dall'alto e tanto più umili e costanti devono essere gli sforzi per risalire il pendìo e riguadagnar la vetta. Sta al diretore il rammentarle sempre con bontà e fermezza questo dovere.

b) Vi sono contemplativi che, dopo aver lottato vigorosamente a dominar le cattive inclinazioni ed esservi riusciti, pensando che la lotta sia ormai finita, rallentano gli sforzi, mancano di generosità nell'adempimento di certi doveri considerati come meno importanti, e cadono in una specie di progressivo rilassamento che potrebbe generar la tiepidezza. -- Si deve por freno a questo retrogrado movimento, facendo osservare che quanto più il Signore si mostra generoso con loro, tanto più devono essi raddoppiar di fervore; e che le minime negligenze degli amici di Dio feriscono sul vivo Colui che prodiga loro i suoi favori. Si leggano nell'autobiografia di S. Margherita Maria i severi rimproveri che Nostro Signore le rivolgeva per correggerla delle minime infedeltà, delle mancanze di rispetto e di attenzione nel tempo dell'ufficio e dell'orazione, dei difetti di rettitudine e di purità d'intenzione, della vana curiosità, delle piccole infrazioni d'ubbidienza, anche che si trattasse di imporsi maggiori austerità; e se ne prenda lezione per ricondurre queste anime al fervore.

1578.   c) Altri poi s'aspettavano di trovar nella contemplazione, passate le prime prove passive, soltanto soavità e gusti divini; e Dio invece continua ad alternare le desolazioni e le consolazioni a fine di più efficacemente santificarli; onde, disanimandosi, sono in pericolo di cadere nel rilassamento e nelle funeste sue conseguenze. -- Il gran rimedio è d'inculcare continuamente l'amor della croce, non perchè la croce sia amabile in se stessa ma perchè ci rende più conformi a Gesù crocifisso.

Del resto, diceva il S. Curato d'Ars 1578-1, "la croce è il dono che Dio fa ai suoi amici. Bisogna chiedere l'amor delle croci e allora le croci diventano dolci. Ne ho fatto l'esperienza... Avevo molte croci io, ne avevo tante che quasi non le potevo portare! Mi diedi a chiedere l'amor delle croci e diventai felice... E veramente la felicità sta soltanto lì".

Per dir tutto in breve, il direttore delle anime contemplative deve studiare le opere e le biografie dei mistici, e chiedere a Dio il dono del consiglio per non dir nulla a queste anime se non dopo aver consultato lo Spirito Santo.

EPILOGO: LE TRE VIE E IL CICLO LITURGICO 1579-1.

1579.   Percorse le tre vie o le tre tappe che conducono alla perfezione, non sarà inutile vedere come ogni anno la Chiesa ci inviti nella liturgia a ricominciare e a perfezionare l'opera della nostra santificazione coi suoi tre gradi, la purificazione, l'illuminazione e l'unione con Dio. La vita spirituale è infatti una serie di continui ricominciamenti e il ciclo liturgico viene ogni anno a spronarci a sforzi novelli.

Nella liturgia tutto si riferisce al Verbo Incarnato, mediatore così di religione come di redenzione, che ci viene presentato non solo come modello da imitare, ma anche come capo di un corpo mistico che viene a vivere nelle membra onde far praticare le virtù di cui diede l'esempio. Ogni festa quindi e ogni periodo liturgico ci richiama qualcuna delle virtù di Gesù, recandoci le grazie da lui meritate onde colla sua collaborazione le ricopiamo in noi.

1580.   L'anno liturgico, che corrisponde alle quattro stagioni dell'anno, armonizza pur bene con le quattro principali fasi della vita spirituale 1580-1. L'Avvento corrisponde alla via purgativa; il tempo di Natale e dell'Epifania è in relazione colla via illuminativa in cui seguiamo Gesù imitandone le virtù; il tempo della Settuagesima e della Quaresima adduce una seconda purificazione dell'anima più profonda della prima, il tempo pasquale è la via unitiva, con l'unione a Gesù risuscitato, unione che si perfezione coll'Ascensione e colla discesa dello Spirito Santo. -- Spieghiamo brevemente questo ciclo liturgico.

1581.   1° L'Avvento, che significa venuta, è una preparazione alla venuta del Salvatore e quindi un periodo di purificazione e di penitenza.

La Chiesa ci invita a meditare sulla triplice venuta di Gesù: la venuta sulla terra con l'incarnazione, l'ingresso nelle anime con la grazia, e la comparsa alla fine dei secoli a giudicar gli uomini. Vole però richiamar la nostra attenzione principalmente sulla prima venuta; onde ci rammenta i sospiri dei patriarchi e dei profeti per farci desiderar con loro la venuta del promesso Liberatore e lo stabilimento o il rassodamento del suo regno nell'anime nostre. È quindi tempo di santi desideri e di ardenti suppliche con cui chiediamo a Dio di far discendere su di noi la rugiada della grazia e soprattutto lo stesso Redentore: Rorate, cæli, desuper, et nubes pluant justum! La preghiera si fa più premurosa colle antifone maggiori, O Emmanuel, o Rex gloriæ, o Oriens, etc., che, richiamandoci i gloriosi titoli dati dai profeti al Messia e i tratti principali della sua missione, ci fanno desiderare la venuta de Colui che solo può alleviare le nostre miserie.

1582.   Ma è pur tempo di penitenza. La Chiesa ci rammenta il giudizio universale a cui dobbiamo prepararci con l'espiazione dei peccati; e la predicazione di S. Giovanni Battista c'invita a far penitenza per preparare la via al Salvatore: "Parate viam Domini, rectas facite semitas ejus1582-1. Anticamente si digiunava tre volte la settimana, come si fa ancora in certi Ordini religiosi, e se ora la Chiesa non impone più il digiuno ai suoi figli, li esorta però a supplirvi con altre mortificazioni, adoprando a tal fine nelle Messe del tempo il colore violaceo, che è simbolo di duolo.

È chiaro che questi santi desideri e queste pratiche di penitenza tendono a purificar l'anima, preparandola così al regno di Gesù.

1583.   2° Ed eccoci al tempo di Natale: il Verbo ci si presenta nell'infermità della carne, colle grazie ma anche colle debolezze dell'infanzia, invitandoci ad aprirgli il cuore onde potervi regnar da padrone e comunicarci le sue disposizioni e le sue virtù. Comincia così la via illuminativa: purificati dalle colpe, distaccati dal peccato e dalle cause che vi ci potrebbero far ricadere, c'incorporiamo sempre più a Gesù onde partecipare ai suoi annientamenti, all'umiltà, all'obbedienza, alla povertà, sì bene da lui praticate nella natività e nelle circostanze che la seguirono. Ad accoglierlo sulla terra, che viene a riscattare, ci sono appena pochi pastori e pochi savi dell'Oriente che gli porgono i loro ossequi; i Giudei che egli elesse per suo popolo non si degnano di riceverlo: "in propria venit et sui eum non receperunt1583-1. È costretto a fuggire in Egitto, e, tornatone, si va a seppellire in un paesucolo della Galilea, ove passa trent'anni, crescendo in sapienza e in scienza insieme coll'età, lavorando manualmente come un povero operaio e obbedendo in tutto a Maria e a Giuseppe: tal è lo spettacolo offertoci dalla liturgia nel tempo del Natale e dell'Epifania, per metterci sott'occhio gli esempi che dobbiamo imitare. E nello stesso tempo c'invita ad adorare il Figlio di Dio tanto più profondamente quanto più si volle per noi annientare, a ringraziarlo ed amarlo: "sic nos amantem quis non redamaret?"

1584.   3° Ma, prima di potere assaporare i gaudii dell'unione divina, ci vuole una nuova purificazione, più dura e più profonda della prima, della quale il tempo della Settuagesima e della Quaresima ci porge proprizia occasione.

La Settuagesima è come il preludio della Quaresima. La Chiesa, mettendoci sott'occhio nella assegnata lezione della S. Scrittura il racconto della caduta dell'uomo, dei peccati che gli tennero dietro, del diluvio che ne fu il castigo, della vita santa dei Patriarchi che ne fu l'espiazione, c'invita a riandare nell'amarezza dell'anima tutti i nostri peccati, a detestarli sinceramente, ad espiarli con generosa penitenza. i mezzi da lei propostici sono: 1) il lavoro o il fedele adempimento dei doveri del proprio stato per amor di Dio: "ite et vos in vineam meam"; 2) la lotta contro le passioni: nell'Epistola ci paragona ad atleti che corrono o che combattono per ottener la corona e c'invita a castigare il corpo e a ridurlo in servitù; 3) la volontaria accettazione dei patimenti e delle prove a cui siamo giustamente condannati, e l'umile preghiera onde trarne profitto: "Circumdederunt me gemitus mortis... et in tribulatione meâ invocavi Dominum1584-1.

1585.   A questi mezzi la Quaresima aggiunge il digiuno, l'astinenza e l'elemosina, per lottar vittoriosamente contro le tentazioni; e noi li praticheremo in unione con Gesù, che si ritira quaranta giorni nel deserto a farvi penitenza per noi e acconsente ad essere tentato per insegnarci il modo di resistere al demonio. Il prefazio della Messa ci dirà che il digiuno rintuzza i vizi, innalza i cuori e ottiene aumento di virtù e di meriti.

La scena del Tabor, narrata nella domenica seconda, ci mostrerà che la penitenza ha le sue delizie quando è associata alla preghiera e si leva lo sguardo s Dio a chiedergli soccorso: "Oculi mei semper ad Dominum, quia ipse evellet de laqueo pedes meos1585-1. L'Introito della domenica quarte c'infonderà nuovo coraggio, facendoci intravvedere i gaudi del paradiso "Lætare Jerusalem", di cui la santa comunione, simboleggiata nella moltiplicazione dei pani, ci dà già un saggio.

1586.   Colla domenica di Passione s'inalbera il vesillo della Croce: "Vexilla Regis prodeunt"; la nuda croce, perchè l'immagine del divin Crocifisso viene velata in segno di duolo e di tristezza, ad insegnarci che ci sono momenti in cui non vediamo che tribolazioni senza sentire alcuna consolazione. Ma l'Epistola della Messa ci conforterà presentandoci il nostro Pontefice che coll'effusione del sangue entra nel Santo dei Santi, e ripetendoci che la Croce, simbolo di morte, divenne per lui fonte di vita "ut unde mors oriebatur inde vita resurgeret".

La domenica della Palme, seguita subito dai dolorosi misteri di Cristo, c'insegnerà quanto effimeri siano anche i più ben meritati trionfi della terra e come vi succedano spesso le più profonde umiliazioni. L'anima angosciata leva allora un grido di dolore: Deus, Deus meus, respice in me: quare me dereliquisti 1586-1"; è il grido di Gesù nel giardino degli Ulivi e sul Calvario; è il grido dell'anima cristiana visitata da pene interiori o in preda alla calunnia. Ma l'Epistola viene a riconfortarci, stimolandoci ad unirci agli interni sentimenti di Gesù, che obbedisce sino alla morte e morte di croce e che viene presto ricompensato con tale esultazione che ogni ginocchio si piega dinanzi a lui; onde, se ne partecipiamo i patimenti, avremo pur parte ai suoi trionfi, come dice S. Paolo: "Si tamen compatimur ut et conglorificemur1586-2.

1587.   4° La Resurrezione e il ciclo pasquale ci richiamano la vita gloriosa di Gesù, immagine della vita unitiva. Vita più celeste che terrestre: Gesù, nel corso del suo ministero, era sempre vissuto sulla terra, lavorando, conversando con gli uomini, esercitando l'apostolato; dopo la risurrezione vive più separato che mai da tutte le cose esterne, facendo solo rare apparizioni agli apostoli a dare gli ultimi insegnamenti, e poi ritorna al padre: "apparens eis et loquens de regno Dei1587-1.

È immagine delle anime che, giunte alla via unitiva, cercano ormai la solitudine per conversare intimamente con Dio; e se i doveri del loro stato le obbligano a trattar cogli uomini, lo fanno solo per santificarli; studiandosi di accostarsi all'ideale proposto da S. Paolo: 1587-2 "Se dunque risorgeste con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è assiso alla destra di Dio; alle cose di lassù aspirate, non a quelle della terra; moriste infatti e la vostra vita è ascosa [sic] con Cristo in Dio".

Coll'Ascensione un nuovo gradino: Gesù vive ormai in cielo alla destra del Padre e prega continuamente per noi; il suo apostolato si fa anche più fecondo, perchè ci invia lo Spirito Santo, lo Spirito santificatore, che trasforma gli Apostoli e per mezzo loro milioni di anime. Parimenti i contemplativi, che colla mente e col cuore abitano già in cielo, non cessano di pregare e di sacrificarsi per la salute dei fratelli, esercitando così apostolato anche più fecondo.

1588.   La Pentecoste è la discesa dello Spirito Santo nelle singole anime, ad operarvi in modo più lento e più nascosto la mirabile trasformazione effettuata negli Apostoli. Il mistero della Santissima Trinità viene a rimetterci sott'occhio il grande oggetto della fede e della religione, la causa efficiente ed esemplare della nostra santificazione; e le feste del Santissimo Sacramento e del Sacro Cuore ci ripetono che Gesù, nell'Eucarestia ove palesa i tesori del Sacro suo Cuore, merita le nostre adorazioni e il nostro amore e che è nello stesso tempo il gran Religioso di Dio, per cui e in cui possiamo rendere all'adorabile Trinità gli ossequi che le sono dovuti.

Le varie domeniche che seguono la Pentecoste rappresentano l'intiero svolgimento dell'opera dello Spirito Santo non solo nella Chiesa ma anche in ogni anima cristiana, e ci invitano quindi a produrre, sotto l'azione dello Spirito Santo, copiosi frutti di salute fino a quel giorno in cui andremo a raggiungere in cielo Colui che vi ci ha preceduti a prepararci il posto.

1589.   Stanno in questo ciclo liturgico le feste dei Santi. Possente stimolo per noi gli esempi di costoro che, membri di Cristo come noi, ne imitarono le virtù non ostante tutte le tentazioni e tutti gli ostacoli. Ci dicono con S. Paolo: "Siate imitatori miei come io di Cristo: imitatores mei estote sicut et ego Christi1589-1; e leggendo nel Breviario il racconto delle eroiche loro virtù, ripetiamo la parola di Agostino: "Tu non poteris quod isti, quod istæ?".

Rammenteremo poi in modo particolare che la Regina degli Angeli e dei Santi, la Madre del Salvatore, è nella liturgia costantemente associata al Figlio e che non possiamo onorare il Figlio senza onorarne, amarne, imitarne pure la Madre.

A questo modo, sorretti e aiutati dalla Vergine Santissima e dai Santi e incorporati al Verbo Incarnato, ci accostiamo a Dio percorrendo ogni anno il ciclo liturgico.

1590.   Ma, a trar veramente profitto dai copiosi mezzi di santificazione offertici dalla Chiesa, conviene che attiriamo in noi le interne disposizioni di Gesù. Ora c'è una bellissima ed efficacissima preghiera che serve a ritrarre in noi questi sentimenti: è la preghiera O Jesu vivens in Maria; e una sua breve spiegazione ci pare la miglior chiusa di questo Compendio.

PREGHIERA: O JESU VIVENS IN MARIA 1590-1.
O Jesu vivens in Mariâ,O Gesù vivente in Maria,
veni et vive in famulis tuis,vieni e vivi nei tuoi servi,
in spiritu sanctitatis tuæ,nello spirito della tua santità,
in plenitudine virtutis tuæ,nella pienezza della tua virtù,
in perfectione viarum tuarum,nella perfezione delle tue vie,
in veritate virtutum tuarum,nella verità delle tue virtù,
in communione mysteriorum tuorum,nella comunione dei tuoi misteri,
dominare omni adversæ potestati,domina ogni nemico potere,
in Spiritu tuo ad gloriam Patris.nel tuo Spirito a gloria del Padre.

In questa preghiera si possono distinguere tre parti di inuguale lunghezza: nella prima si dice a chi si rivolge; nella seconda l'oggetto; nella terza lo scopo finale.

1591.   1° A chi si rivolge questa preghiera? A Gesù vivente in Maria, cioè al Verbo Incarnato, all'Uomo-Dio, che nell'unità di persona possiede insieme la natura divina e la natura umana, e che è per noi causa meritoria, esemplare e vitale di santificazione, n. 132. Ci rivolgiamo a lui in quanto vive in Maria. Visse una sola volta fisicamente per nove mesi nel virginale suo seno, ma non si tratta qui di questa vita che cessò colla nascità di Gesù Bambino. Visse sacramentalmente in lei colla santa comunione; presenza che ebbe fine coll'ultima comunione di presenza che ebbe fine coll'ultima comunione di Maria sulla terra. Visse e vive tuttora misticamente in lei, come capo del corpo mistico di cui tutti i cristiani sono membri, ma in grado assai superiore, perchè Maria occupa in questo corpo il posto più onorevole, n. 155-162. Vive in lei col divino suo Spirito, vale a dire con lo Spirito Santo che comunica alla santa sua Madre perchè operi in lei disposizioni simili a quelle che opera nell'anima sua. In virtù dei meriti e delle preghiere del Salvatore, lo Spirito Santo viene dunque a santificare e a glorificare Maria, a renderla quanto più è possibile simile a Gesù, cosicchè ella ne diviene la più perfetta copia vivente: "hæc est imago Christi perfectissima quam ad vivum depinxit Spiritus Sanctus".

La qual cosa viene bene spiegata dall'Olier 1591-1: "Ciò che Nostro Signore è per la Chiesa, lo è per eccellenza per la santissima sua Madre. Ne è quindi la interna e divina pienezza; ed essendosi sacrificato più specialmente per lei che per tutta la Chiesa, a lei più che a tutta la Chiesa comunica la vita di Dio; gliela comunica pure per gratitudine e in riconoscimento della vita che ricevette da lei, perchè, avendo promesso a tutti i suoi membri di rendere centuplicatamente ciò che avrà ricevuto dalla loro carità sulla terra, vuole rendere pure alla Madre il centuplo della vita umana che ricevette dal suo amore e dalla sua pietà; e questo centuplo è la infinitamente preziosa e stimabile vita divina... Bisogna quindi considerare Gesù Cristo nostro Tutto come vivente nella Vergine Santissima nella pienezza della vita di Dio, tanto di quella che ricevette dal Padre quanto di quella che acquistò e meritò agli uomini col ministero della vita ricevuta dalla Madre. In Maria fa pompa di tutti i tesori delle sue richezze, dello splendore della sua bellezza e delle delizie della vita divina... Abita in lei con pienezza; opera in lei nell'estensione del divino suo Spirito; fa un cuore, un'anima, una vita sola con lei". Questa vita diffonde continuamente in lei, "amando in lei, lodando in lei, adorando in lei Dio Padre, come in degno supplemento del suo cuore, in cui deliziosamente si dilata e si moltiplica" 1591-2.

1592.   Gesù vive in Maria con pienezza non solo per santificar lei, ma per santificar per lei gli altri membri del suo corpo mistico: Maria è infatti, come dice S. Bernardo, il canale per cui ci pervengono tutte le grazie meritate da suo Figlio: "totum nos habere voluit per Mariam", n. 161.

Onde è cosa insieme gratissima a Gesù e utilissima all'anima il rivolgerci a Gesù vivente in Maria. "che vi può essere di più dolce e più accetto a Gesù, dell'andarlo a cercare nel luogo delle sue delizie, su questo trono di grazia, in mezzo a quest'adorabile fornace di sant'amore per il bene di tutti gli uomini? Qual più copiosa vena di grazia e di vita di questo luogo in cui abita Gesù come in fonte di vita agli uomini e in madre e nutrice della Chiesa"?

Abbiamo quindi il diritto di essere pieni di fiducia quando preghiamo così Gesù vivente in Maria.

1593.   2° Qual è l'oggetto di questa preghiera? È la vita interiore con tutti gli elementi che la costituiscono; vita interiore che non è se non una partecipazione della vita che Gesù comunica alla Madre e che lo supplichiamo di voler benignamente comunicare anche a noi.

A) Essendo Gesù vivente in Maria la fonte di questa vita, noi umilmente gli chiediamo di venire in noi e di viverci, promettendo di docilmente sottomettere alla sua azione: "VENI ET VIVE IN FAMULIS TUIS".

a) Viene in noi come viene in Maria col divino suo Spirito, colla grazia abituale: sempre che questa cresce in noi, vi cresce pure lo Spirito di Gesù; onde ogni volta che facciamo un atto soprannaturale e meritorio, questo divino Spirito viene in noi e ci rende l'anima sempre più simile a quella di Gesù e a quella di Maria. Qual possente motivo per moltiplicare e intensificare gli atti meritori, informandoli della divina carità! (n. 236-248).

b) Opera in noi con la grazia attuale che ci meritò e che ci distribuisce per mezzo del divino suo Spirito: opera in noi il volere e il fare "operatur in nobis velle et perficere", si fa principio di tutti i nostri moti e delle interne disposizioni, così che i nostri atti non provengono che da Gesù che ci comunica la sua vita, i suoi sentimenti, i suoi affetti, i suoi desideri. Onde possiamo dir con S. Paolo: "Vivo non più io, ma vive in me Gesù".

c) Perchè sia così, è necessario che come servi fedeli, in famulis tuis, ci lasciamo guidare da lui e cooperiamo all'azione sua in noi; dobbiamo, come l'umile Vergine, dire con tutta sincerità: "Ecco l'ancella del Signore, sia fatto a me seconda la tua parola: ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum". Consapevoli della nostra miseria e della nostra incapacità, non abbiamo che da obbedire prontamente alle minime ispirazioni della grazia. Onorevole servitù per noi, "cui servire regnare est", servitù di amore che ci assoggetta a Colui che ci è Padrone, è vero, ma anche Padre, e amico, e che nulla ci comanda che non ci sia utile al bene dell'anima. Apriamo, apriamo dunque il cuore a Gesù e al divino suo Spirito, perchè vi regni come regnò nel cuore della Madre nostra Maria!

1594.   B) Essendo Gesù fonte di ogni santità, gli chiediamo di vivere e di operare in noi "in spiritu sanctitatis tuæ", per comunicarci l'interna sua santità.

C'è una doppia santità in Gesù: una santità sostanziale che deriva dall'unione ipostatica, e una santità partecipata che altro non è se non la grazia creata: n. 105, questa lo preghiamo di comunicarci. Santità, che è prima di tutto orrore del peccato e separazione da tutto ciò che vi ci può condurre; sommo distacco dalle creature e da ogni egoismo; ma anche partecipazione della vita divina, intima unione con le tre divine persone, amor di Dio che signoreggia ogni altro affetto, insomma positiva santità.

1595.   Ma essendo incapaci di acquistar da soli tale santità, lo supplichiamo di venire in noi con la pienezza della sua forza o della sua grazia "in plenitudine virtutis tuæ". E trepidi di possibili ribellioni da parte nostra, aggiungiamo pure colla Chiesa che si degni di assoggettare al suo impero le ribelli nostre facoltà: "etiam rebelles ad te propitius compelle voluntates".

Una grazia efficace dunque invochiamo, quella grazia che, pur rispettando la libertà, sa operare sui segreti congegni della volontà per ottenere il consenso; una grazia che non si arresterà dinanzi alle istintive nostre ripugnanze o alle pazze nostre resistenze, ma opererà dolcemente e fortemente in noi il volere ed il fare.

1596.   C) E poichè la santità non può acquistarsi senza l'imitazione del nostro divino Modello, lo supplichiamo di farci camminare nella perfezione delle sue vie "in perfectione viarum tuarum", vale a dire di farci imitare la sua condotta, il suo modo d'agire, i suoi atti esterni ed interni in tutti ciò che hanno di più perfetto. Chiediamo insomma di diventare viventi copie di Gesù, altri Cristi, onde poter dire ai nostri discepoli come S. Paolo: siate imitatori miei, come anch'io di Cristo: "imitatores mei estote sicut et ego Christi". Ideale così perfetto che da noi non possiamo attuarlo! Ma Gesù si fa nostra via: "ego sum via", fulgida e vivente via, via, a così dire, ambulante che ci trae dietro a sè: "Et ego cum exaltatus fuero a terrâ, omnia traham ad me ipsum1596-1. Da te, o divino Modello, ci lasceremo dunque trarre e ci studieremo di imitare le tue virtù.

1597.   D) Per questo aggiungiamo: "in veritate virtutum tuarum". Le virtù che chiediamo sono virtù reali e non virtù apparenti. Ci sono di quelli che, sotto la vernice di virtù puramente esterne, nascondono un animo pagano, sensuale e superbo. Non sta qui la santità. Virtù interne ci porta Gesù, virtù penose, l'umiltà, la povertà, la mortificazione, la perfetta castità di mente, di cuore, di corpo; virtù unificative, lo spirito di fede, di confidenza e di amore. Ecco ciò che fa il cristiano e lo trasforma in un altro Cristo.

1598.   E) Queste virtù Gesù praticò specialmente nei suoi misteri, onde lo preghiamo di farci partecipare alla grazia dei suoi misteri "in communione mysteriorum tuorum". Misteri sono certamente tutte le principali azioni di Nostro Signore, ma specialmente i sei grandi misteri descritti dall'Olier nel suo Catechismo cristiano: l'Incarnazione, che c'invita a spogliarci di ogni amor proprio per consacrarci totalmente al Padre in unione con Gesù: "Ecce venio ut faciam, Deus, voluntatem tuam"; la crocifissione, la morte e la sepoltura, che esprimono i vari gradi di quella totale immolazione con cui crocifiggiamo la guasta natura studiandoci di farla morire e seppellirla per sempre; la risurrezione e l'ascensione, che significano il perfetto distacco dalle creature e la vita tutta celeste che bramiamo condurre per andare in paradiso.

1599.   F) È chiaro che cosiffatta perfezione non possiamo conseguire se Gesù non viene a dominare il noi su ogni potere nemico, la carne, il mondo e il demonio: "dominare omni adversæ potestati". Questi tre nemici non desistono mai dai fieri loro assalti, e non potranno mai essere annientati finchè saremo sulla terra; ma Gesù, che ne trionfò, può infrenarli e soggiogarli, dandoci grazie efficaci per resistervi: questo umilmente gli chiediamo.

3° A più facilmente ottenere questa grazia, dichiariamo che non miriamo con lui se non a un solo scopo, la gloria del Padre che vogliamo procurare coll'opera dello Spirito Santo: "In spiritu tuo ad gloriam Patris". Essendo venuto sulla terra a glorificare il Padre "Ego honorifico Patrem", compia egli in noi l'opera sua e ci cominichi l'interna sua santità, onde possiamo con lui e per lui glorificar questo Padre e fare che sia glorificato intorno a noi! Saremo allora veramente membri del suo corpo mistico e religioso di Dio: Gesù vivrà e regnerà nei nostri cuori per la maggior gloria dell'adorabile Trinità.

Questa preghiera è dunque una sintesi della vita spirituale e un riepilogo del nostro Compendio.

Terminandolo non possiamo che benedire, e invitare i lettori a benedire con noi questo Dio d'amore, questo amantissimo Padre, che, facendoci partecipare alla sua vita, ci colmò nel suo Figlio di tutte le benedizioni.

BENEDICTUS DEUS ET PATER DOMINI NOSTRI JESU CHRISTI, QUI BENEDIXIT NOS IN OMNI BENEDICTIONE SPIRITUALI IN CÆLESTIBUS IN CHRISTO.

FINE.


1550-1 A. Saudreau, L'Etat mystique, c. IX, XI, XIV e le Appendici; A. Poulain, Delle grazie d'Orazione, 2ª ediz. ital. con introd. del P. De Guibert (Marietti, Torino); Mgr. Lejeune, art. Contemplation nel Dict. de Théologie; Mgr. A. Farges, Phén. mystiques e Controv. de la Presse; P. Joret, La contemplation mystique; P. Garrigou-Lagrange, Perfect. et contemplation.

1554-1 Delle Grazie d'orazione, c. VI, n. 16, (Marietti, Torino).

1555-1 La mystique chrétienne, nella Revue de Philosophie, 1912, t. XXX, p. 478.

1555-2 La saisie immédiate de Dieu dans les états mystiques, 1923.

1557-1 Quest'accusa sarebbe particolarmente ingiusta rispetto a coloro che, come il Farges, (Phén. mystiq., p. 95 ss., e Réponses aux controverses, ch. V-XII), ammettono che la contemplazione avviene fin dal primo grado per mezzo di specie impresse infuse, e la chiamano immediata, perchè la specie impressa non è id quod videtur e nemmeno id in quo videtur, ma id quo res ipsa videtur. Si può censurare questo modo di vedere ma non vi si può scorgere l'ontologismo.

1557-2 A meglio giudicar di questo linguaggio, si leggeranno volentieri i passi raccolti dal P. Poulain, Delle Grazie d'orazione, c. V-VI, confrontando le interpretazioni date da lui con quelle che ne dà in senso contrario A. Saudreau, L'Etat mystique, Appendice II.

1559-1 I PP. Arintero, Garrigou-Lagrange, Joret, Janvier, ecc.

1559-2 Don Louismet, Don Huyben, ecc.

1559-3 P. Ludovico di Besse.

1559-4 P. Teodoro di S. Giuseppe, Essai sur l'oraison selon l'école carmélitaine, 1923. -- Si vedano per altro le sue restrizioni, p. 128.

1559-5 L. Peeters, Vers l'union divine per les Exercices de S. Ignace, 1924.

1559-6 Il P. Lamballe, La contemplation.

1559-7 M. A. Saudreau, L'Ami du Clergé, ecc.

1560-1 P. Garrigou-Lagrange, op. cit., p. 450.

1561-1 Questi argomenti si troveranno esposti dal P. R. di Maumigny, Pratique de l'oraison mentale, t. II, P. Vª; Mgr Farges, Phénomènes mystiques, P. Iª, c. IV; Contr. de la Presse, c. IV; G. de Guibert, Rev. d'Ascétique et de Mystique, Gennaio 1924, p. 25-32.

1561-2 G. de Guibert, l. cit., p. 26.

1561-3 De virtutibus infusis, tesi VIIIª.

1563-1 P. Garrigou-Lagrange, op. cit., t. II, p. [78].

1563-2 "Il che può provenire, dice il P. Garrigou, op. cit., t. II, p. [75], non solo dal poco propizio ambiente e da mancanza di direzione, ma anche del temperamento fisico. Ed è bene qui ricordare con G. Maritain, che, secondo molti Tomisti, come Bannez, Giovanni di S. Tommaso e i Carmelitani di Salamanca, anche le doti fisiche sono, nel predestinato, effetto in un certo senso della predestinazione.

1564-1 Congrès carmélitain, 1923, thème V. -- Il Congresso non volle dichiararsi sulla questione della vocazione universale alla contemplazione, certo perchè la teneva come dubbia.

1565-1 I Cor., XV, 41.

1565-2 P. Garrigou-Lagrange, op. cit., t. II, p. [71-79].

1566-1 Molti documenti si possono trovare nelle opere seguenti: Onorato di Sta Maria, Tradition des Pères et des auteurs ecclésiastiques sur la Contemplation; A. Saudreau, La Vie d'union à Dieu, 3ª ed. 1921; P. Garrigou-Lagrange, op. cit., t. II, p. 662-740; P. Pourrat, La Spiritualité chrétienne. Rimane però da fare lo studio critico-storico di questi documenti sotto l'aspetto speciale della vocazione universale alla contemplazione.

1566-2 Ci pare che sia questa la soluzione di Don V. Lehodey, Le vie dell'orazione, P. IIIª, c. XIII (Marietti, Torino), Le saint Abandon, P. IIIª, c. XIV; di Mgr Waffelaert, R. A. M., gennaio 1923, p. 31, e nelle varie sue opere; della Scuola Carmelitana e di quelli che ammettono uno stato di contemplazione acquisita sia pure di poca durata. S'accosta a quella del P. M. de la Taille, L'oraison contemplative, come pure alla soluzione proposta da G. Maritain, Vie spirituelle, marzo 1923, che si trova nell'opera del P. Garrigou, t. II, p. [58-71].

1568-1 Notte oscura, l. I, c. VIII, n. 1, e c. XIII, n. 1 (alias c. XIV).

1568-2 Note sulla Notte Oscura, p. 5-6.

1570-1 Ami du Clergé, 8 dic. 1921, p. 697.

1572-1 In Cantica sermo LVII, n. 11; compendiamo qui il pensiero del Santo.

1575-1 Vita scritta dal P. Da Ponte, c. XIII, c. XLI, 5ª difficoltà.

1578-1 Monnin, Vita del Curato d'Ars, l. III, c. III (Marietti, Torino).

1579-1 Dom Guéranger, L'Année liturgique; Dom Leduc et Dom Baudot, Catéchisme liturgique; Dom Festugière, La liturgie catholique; F. Cavallera, Ascétisme et Liturgie.

1580-1 Sebbene non si distinguano che tre vie nella vita spirituale, vi è tale differenza tra le purificazioni passive e la contemplazione soave da poterne fare due fasi nella via unitiva.

1582-1 Luc., III, 4.

1583-1 Joan., I, 11.

1584-1 Introito della domenica di Settuagesima.

1585-1 Introito della 3ª domenica di Quaresima.

1586-1 Introito della domenica delle Palme.

1586-2 Rom., VIII, 17.

1587-1 Act., I, 3.

1587-2 Col., III, 1-3.

1589-1 I Cor., IV, 16.

1590-1 Questa preghiera, composta dal P. de Condren e perfezionata dall'Olier, si recita ogni giorno nel Seminario di S.-Sulpizio dopo la meditazione. Il Ven. Libermann ne fece un pio commento, Lettres, t. II, p. 506-522.

1591-1 G. G. Olier, Lettera CCCLXXXIII, t. I, p. 468, ed. 1885.

1591-2 G. G. Olier, Journée chrét., p. 395-396.

1596-1 Joan., XII, 32.


Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@gmail.com>.
Ultima revisione: 1 febbraio 2006.