ADOLFO TANQUEREY
Compendio di Teologia Ascetica e Mistica
PARTE SECONDA
Le Tre Vie
LIBRO I
La purificazione dell'anima
o la via purgativa
La preghiera degl'incipienti 643-1.
643. Abbiamo già esposto (n. 499-521) la natura e l'efficacia della preghiera. Richiamate coteste nozioni agli incipienti, converrà:
ART. I. NECESSITÀ E CONDIZIONI DELLA PREGHIERA.
§ I. Necessità della preghiera.
644. Quanto dicemmo del doppio fine della preghiera, adorazione e domanda (n. 503-509), ce ne mostra molto bene la necessità. È infatti evidente che, come creature e come cristiani, siamo obbligati a glorificar Dio con l'adorazione, la riconoscenza e l'amore; e che, come peccatori, dobbiamo offrirgli i nostri doveri di riparazione (n. 506). Qui però si tratta principalmente della preghiera come domanda, e della sua necessità assoluta come mezzo di salute e di perfezione.
645. La necessità della preghiera è fondata sulla necessità della grazia attuale. È di fede che, senza questa grazia, siamo nell'impotenza assoluta di salvarci, tanto più poi di giungere alla perfezione, n. 126. Da per noi, per quanto buon uso facciamo della libertà, non possiamo nè positivamente disporci alla conversione, nè perseverare nel bene per un tempo notevole, specialmente poi perseverare sino alla morte: "Senza di me, dice Gesù ai suoi discepoli, voi non potete far nulla; non potete avere neppure un buon pensiero, aggiunge S. Paolo, perchè è Dio che opera in noi il volere e il fare: "Sine me nihil potestis facere... non quod sufficientis simus cogitare aliquid a nobis quasi ex nobis... operatur in vobis et velle et perficere" 645-1.
Ora, lasciando la prima grazia che ci è largita gratuitamente senza preghiera come quella che è il principio stesso della preghiera, è inconcussa verità che la preghiera è il mezzo normale, efficace e universale per cui Dio vuole che otteniamo tutte le grazie attuali. Ecco perchè Nostro Signore inculca sì spesso la necessità della preghiera per ottenere la grazie: "Chiedete, egli dice, e otterrete, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto; perchè chi chiede riceve, chi cerca trova, e si apre a chi bussa 645-2. È come se dicesse, aggiungono quasi tutti i commentatori: se non chiedete non riceverete nulla, se non cercate non troverete nulla. Questa necessità della preghiera Gesù la richiama sopratutto quando si tratta di resistere alla tentazione: "vigilate et orate ut non intretis in tentationem: spiritus quidem promptus est, caro autem infirma" 645-3. S. Tommaso ne conchiude che ogni fiducia non fondata sulla preghiera è presuntuosa, perchè Dio, il quale non è per giustizia obbligato a darci la sua grazia, non ha promesso di darcela se non dipendentemente dalla preghiera. Egli conosce certamente i nostri bisogni spirituali senza che noi glieli esponiamo; ma pure vuole che le nostre preghiere siano la molla che muove la sua misericordia, affinchè lo riconosciamo come autore dei beni che ci concede 645-4.
646. Così l'intese la Tradizione. Il concilio di Trento, facendo sua la dottrina di S. Agostino, dice che Dio nulla comanda d'impossibile, perchè comanda di fare ciò che possiamo e di chiedere ciò che non possiamo e con la grazia sua ci aiuta a chiederlo 646-1; suppone quindi chiaramente che vi sono cose impossibili senza la preghiera; ed è appunto la conclusione che ne trae il Catechismo romano: "la preghiera ci fu data come strumento necessario per ottenere ciò che desideriamo; vi sono infatti cose che possiamo ottenere solo col suo aiuto 646-2.
647. Avviso al direttore. È cosa assai importante insistere su questa verità per gl'incipienti; perchè molti, imbevuti senza pur saperlo di pelagianismo o di semipelagianismo, s'immaginano di potere con la volontà e con l'energia arrivare a tutto. È vero che l'esperienza viene presto a convincerli che le migliori risoluzioni restano spesso inadempiute nonostante i loro sforzi; ma il direttore se ne gioverà per ripetere, senza mai stancarsi, che solo con la grazia e con la preghiera possono riuscire ad osservarle; e questa dimostrazione sperimentale tornerà di singolar conferma alle loro convinzioni sulla necessità della preghiera; esporrà pure le condizioni della sua efficacia.
§ II. Condizioni essenziali della preghiera.
648. Avendo già provata la necessità della grazia attuale per tutti gli atti necessari alla salute, n. 126, ne possiamo conchiudere che questa grazia è pur necessaria a pregar bene. S. Paolo lo dichiara nettamente: "Lo Spirito porge la mano alla fiacchezza nostra; perchè quello che s'ha da chiedere, come conviene, non sappiamo; ma lo Spirito stesso l'implora per noi con gemiti inenarrabili: quid oremus sicut oportet, nescimus, sed ipse Spiritus postulat pro nobis gemitibus inenarrabilibus 648-1. Aggiungiamo che questa grazia è offerta a tutti, anche ai peccatori, e che quindi tutti possono pregare.
Benchè lo stato di grazia non sia necessario per pregare, pure aumenta singolarmente il valore delle nostre preghiere, perchè fa di noi gli amici di Dio e le membra viventi di Gesù Cristo.
Esamineremo le condizioni richieste dalla preghiera:
649. La condizione più importante, da parte dell'oggetto, è di chiedere soltanto i beni che ci conducono alla vita eterna, prima di tutto le grazie soprannaturali, e secondariamente, in quanto saranno utili alla eterna nostra salute, i beni d'ordine temporale. Tale è la regola fissata da Nostro Signore stesso: "Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date di giunta. Quærite primum regnum Dei et justitiam ejus, et hæc omnia adjicientur vobis 649-1. Come infatti abbiamo detto, n. 307-308, la felicità, come la perfezione dell'uomo, consiste nel possesso di Dio e quindi nelle grazie necessarie a questo fine. Onde non dobbiamo chiedere nulla che non sia in relazione con questo fine.
1° I beni temporali in se stessi sono troppo al disotto di noi, troppo incapaci di soddisfare le aspirazioni del nostro cuore e di renderci felici, onde non possono essere l'oggetto principale delle nostre preghiere. Ma, avendo noi fino a un certo punto bisogno di questi beni per vivere e assicurar la nostra salute, ci è lecito chiedere il pane quotidiano, tanto quello del corpo come quello dell'anima, subordinando però il primo al secondo. Può darsi infatti che un bene particolare che ci pare desiderabile, poniamo la ricchezza, ci diventi poi pericoloso per l'eterna salute; onde non si può chiederlo che subordinatamente ai beni eterni.
650. 2° Anche quando si tratta di questa o quella grazia particolare, non conviene chiederla che conforme alla divina volontà, Nella infinita sua sapienza Dio sa meglio di noi ciò che a ogni anima, secondo la sua condizione e il suo grado di perfezione, si conviene. Come bene osserva S. Francesco di Sales, noi dobbiamo voler la nostra salute come la vuol Dio, quindi risolutamente volere e abbracciare le grazie che ci distribuisce, perchè è necessario che la nostra volontà sia conforme alla sua 650-1; ma quando si tratta di grazie particolari, come sarebbe questa o quella forma di orazione, di consolazione, di aridità ecc., non bisogna chiedere nulla in modo assoluto ma subordinar tutto alla volontà di Dio 650-2. Dio distribuisce le grazie di consolazione o di aridità, di riposo o di lotta, secondo i disegni della infinita sua sapienza e i bisogni dell'anima nostra. Non ci resta quindi che rimetterci a lui per la scelta delle grazie che ci sono più utili. Possiamo certo esprimere un desiderio, ma con umile sommessione alla volontà del Padre Celeste: egli ci esaudirà sempre se preghiamo come si conviene; ci concederà talora anche più e meglio di quel che domandiamo, onde noi, non solo non ce ne dobbiamo lamentare, ma dobbiamo anzi benedirnelo 650-3.
II. Condizioni da parte del soggetto.
Le condizioni più essenziali per rendere efficaci le nostre preghiere, sono: l'umiltà, la confidenza e l'attenzione, o almeno lo sforzo serio per stare attenti.
651. 1° L'umiltà nasce dalla natura stessa della preghiera. Essendo la grazia essenzialmente gratuita e non avendovi noi alcun diritti, siamo, dice S. Agostino, rispetto a Dio, dei mendicanti, e dobbiamo implorare dalla sua misericordia ciò che per giustizia non possiamo ottenere. Così pregava Abramo il quale, al cospetto della maestà divina, si riguardava come polvere e cenere: "Loquar ad Dominum Deum, cum sim pulvis et cinis 651-1; così pregava Daniele, quando chiedeva la liberazione del popolo ebreo, appoggiandosi non sui meriti suoi e sulle sue virtù, ma sulla ricchezza delle divine misericordie: "Neque enim in justificationibus nostris prosternimus preces ante faciem tuam; sed in miserationibus tuis multis" 651-2; così pregava il pubblicano che fu esaudito: "Deus, propitius esto mihi peccatori" 651-3, mentre il superbo fariseo vide respinta la sua preghiera. Gesù stesso ce ne dà la ragione: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato: quia omnis qui se exaltat humiliabitur, et qui se humiliat exaltabitur". Ben lo intesero i suoi discepoli, e S. Giacomo ripete con insistenza: "Dio resiste ai superbi e dà le sue grazie agli umili: Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam" 651-4. Ed è giustizia questa: perchè il superbo attribuisce a sè l'efficacia della sua preghiera mentre l'umile l'attribuisce a Dio. Or vorremmo noi che Dio ci esaudisse a spese della sua gloria, per nutrire e fomentare la nostra vanità? L'umile invece confessa che tutto gli proviene da Dio; quindi Dio, esaudendolo, lavora per la gloria sua e insieme per il bene del supplicante.
652. 2° Quindi la vera umiltà genera la confidenza, quella confidenza che non si fonda sui meriti nostri ma sull'infinita bontà di Dio e sui meriti di Gesù Cristo.
a) La fede c'insegna che Dio è misericordia, e che quindi si piega con tanto maggior amore verso di noi quanto più noi riconosciamo le nostre miserie; perchè la miseria chiama la misericordia. Invocarlo con fiducia, è in sostanza un onorarlo, è proclamare che egli è la fonte di tutti i beni e nulla tanto desidera quanto di largirceli. Ci dichiara quindi le tante volte nella S. Scrittura che esaudisce coloro che sperano in lui: "Quiniam in me speravit, liberabo eum: clamabit ad me et ego exaudiam eum 652-1. Nostro Signore c'invita a pregare con confidenza e per insinuarci questa disposizione ricorse non solo alle esortazioni più premurose ma anche alle più tenere parabole. Dopo avere affermato che chi chiede riceve, aggiunge: "Chi è mai tra voi che, chiedendogli il figlio del pane, gli porgerà un sasso?... Se dunque voi, cattivi come siete, sapete dare cose buone ai vostri figliuoli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli concederà ciò che è buono a coloro che lo pregano" 652-2. Ritorna su questo punto nell'ultima Cena: "In verità, in verità vi dico... tutto ciò che chiederete al Padre nel nome mio, io lo farò, affinchè il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa in mio nome, la farò 652-3... In quel giorno chiederete nel nome mio, e non vi dico 652-4 che pregherò io pure il Padre per voi. Perchè anche il Padre vi ama avendo voi amato me". Sarebbe quindi un diffidare di Dio e delle sue promesse, sarebbe un far poca stima dei meriti infiniti di Gesù e dell'onnipotente sua mediazione, il non avere assoluta fiducia nella preghiera.
653. b) Pare talvolta, è vero, che Dio faccia il sordo alle nostre preghiere, perchè vuole che la nostra confidenza sia perseverante, a fine di farci meglio sentire la profondità della nostra miseria e il pregio della grazia; ma ci mostra pure, coll'esempio della Cananea 653-1, che anche quando pare che ci respinga, gode poi di lasciarsi fare dolce violenza. Una donna Cananea viene a supplicar Gesù di guarirle la figlia tormentata dal demonio. Il Maestro non le risponde; essa allora si rivolge ai discepoli, importunandoli con le grida, tanto che essi pregano Gesù d'intervenire. Gesù risponde di essere venuto pei soli figli d'Israele. Senza punto disanimarsi, la povera donna gli si prostra ai piedi, dicendo: "Signore, aiutatemi. Gesù replica con apparente durezza che non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cani. -- E lei: È vero, Signore; ma anche i cagnolini mangiano almeno le briciole che cadono dalla tavola del padrone. -- Vinto da così constante [sic] e umile confidenza, Gesù le concede finalmente il favore domandato e le guarisce sull'istante la figlia. Poteva farci intendere meglio che se, nonostante il poco buon esito delle nostre preghiere, perseveriamo nell'umile fiducia, siamo sicuri d'essere esauditi?
654. 3° Ma a questa perseverante fiducia è necessario aggiungere l'attenzione o almeno il serio sforzo per pensare a ciò che diciamo a Dio. Le distrazioni involontarie, quando cerchiamo di respingerle e diminuirne il numero, non sono ostacolo alla preghiera, perchè l'anima, appunto per questi sforzi che facciamo, resta orientata verso Dio. Ma le distrazioni volontarie, che deliberatamente accettiamo o che solo fiaccamente respingiamo o di cui non vogliamo sopprimere le cause, nelle preghiere di precetto sono peccati veniali, e nelle altre sono negligenze e mancanze di rispetto verso Dio, che non lo dispongono molto ad esaudirci. La preghiera è un'udienza che il nostro Creatore si degna di concederci, una conversazione col Padre celeste in cui lo supplichiamo che si degni d'ascoltar le nostre parole e badare alle nostre suppliche: "Verba mea auribus percipe Domine... intende voci orationis meæ 654-1; e nel momento stesso che gli chiediamo di ascoltarci e di parlarci, non faremmo serio sforzo per capir ciò che diciamo e per stare attenti alle divine ispirazioni? Non sarebbe un'incoerenza e una mancanza di religione? Non meriteremo il rimprovero che Nostro Signore faceva ai Farisei? "Questo popolo mi onora con la punta delle labbra ma il suo cuore è lontano da me: Populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a me" 654-2.
655. Bisogna quindi seriamente sforzarsi di cacciar prontamente ed energicamente le distrazioni che si presentano, sapercene umiliare e giovarcene per rinnovar l'unione con Gesù e pregare con lui. È pur necessario diminuire il numero delle distrazioni, combattendo vigorosamente le cause, l'abituale dissipazione della mente, la libertà della fantasia, i pensieri e gli affetti che sopraffanno la mente e il cuore, e abituarsi a poco a poco al pensiero, spesso rinnovato, della presenza di Dio con l'offerta delle proprie azioni e colle giaculatorie. Adoprando questi mezzi, non c'è ragione d'inquietarci delle distrazioni involontarie che ci passano per la mente o ci turbano la fantasia: sono prove e non colpe, e, sapendo fare, ci accrescono i meriti e il valore delle preghiere.
656. Triplice è l'attenzione che possiamo porre nelle preghiere: 1) quando badiamo a pronunziar bene le parole, si ha l'attenzione verbale, che suppone già un certo sforzo per pensare a ciò che si dice; 2) se badiamo di preferenza a ben comprendere il senso delle parole, si ha l'attenzione letterale o intellettuale; 3) se, lasciando da parte il senso letterale, l'anima si inalza a Dio per adorarlo, benedirlo, unirsi a lui, o per addentrarsi nel mistero che si onora, o per chiedere a Dio tutto ciò che gli chiede la Chiesa e tutto ciò che gli chiede Gesù, si ha l'attenzione spirituale o mistica. Più che agl'incipienti, quest'ultima conviene alle anime proficienti. A coloro che cominciano a gustar la preghiera, bisognerà raccomandare l'una o l'altra delle due prime specie d'attenzione, secondo il carattere e le inclinazioni di ciascuno e le circostanze in cui si trova.
ART. II. DEGLI ESERCIZI DI PIETÀ DEGLI INCIPIENTI.
657. Essendo la preghiera uno dei grandi mezzi per salvarsi, il direttore inizierà a poco a poco gl'incipienti alla pratica di quegli esercizi spirituali che costituiscono la trama d'una vita seriamente cristiana, tenendo conto dell'età, della vocazione, dei doveri del loro stato, del carattere, delle inclinazioni soprannaturali e dei progressi loro.
658. 1° Lo scopo a cui si ha da mirare è di giungere adagio adagio ad abituar le anime alla preghiera, in modo che la loro vita sia fino a un certo punto una vita di preghiera (n. 522). Ma è chiaro che occorre tempo notevole e sforzi diuturni per accostarsi a questo ideale, che non è alla portata degl'incipienti ma che il direttore deve conoscere per meglio guidarvi i penitenti.
659. 2° I principali esercizi che servono a convertir la vita in abituale preghiera, oltre la preghiera del mattino e della sera che i buoni cristiani non mancano mai di fare, sono:
A) La meditazione del mattino, su cui torneremo presto, e la santa messa con la santa comunione che ci mostrano l'ideale a cui dobbiamo tendere e ci aiutano a conseguirlo (n. 524). Vi sono però persone che, per i doveri del loro stato, non possono assistere tutti i giorni alla messa; vi potranno supplire con la comunione spirituale da farsi alla fine della meditazione o anche mentre attendono alle occupazioni manuali. In ogni caso bisognerà ammaestrarle del come trar profitto dalla messa e dalla comunione, quando vi potranno assistere, adattando alla loro capacità quanto abbiamo detto al n. 271-289; e soprattutto poi del come seguire con intelligenza gli uffici liturgici delle domeniche e delle feste, perchè la sacra liturgia ben compresa è una delle migliori scuole di perfezione.
660. B) Nel corso della giornata, bisognerà consigliare, oltre l'offerta spesso rinnovata delle azioni principali, alcune giaculatorie, alcune buone letture adattate allo stato dell'anima sulle verità fondamentali, sul fine dell'uomo, sul peccato, sulla mortificazione, sulla confessione e sugli esami di coscienza, aggiungendovi alcune vite di Santi celebri per la pratica della penitenza; il che sarà luce per l'intelletto, stimolo per la volontà e ottimo mezzo per facilitar la meditazione. La recita di alcune diecine del Rosario meditandone i misteri, accrescerà la devozione alla SS. Vergine e l'abitudine di unirsi a Nostro Signore. La visita al SS. Sacramento, la cui durata varierà con le occupazioni, verrà a rianimar lo spirito di pietà; e ognuno potrà vantaggiosamente servirsi dell'Imitazione, specialmente del libro quarto, e delle Visite al SS. Sacramento di Sant'Alfonso de' Liguori.
661. C) La sera, un buon esame di coscienza integrato dall'esame particolare aiuterà gl'incipienti a rilevar le mancanze, a prevedere i rimedi, a rimettere la volontà nella ferma risoluzione di far meglio, non permettendo così che cadano nel rilassamento e nella tiepidezza. Sarà necessario richiamare anche qui quanto abbiamo detto sugli esami, n. 460-476, e sulla confessione, n. 262-269, ricordando che gl'incipienti devono esaminarsi principalmente sui peccati veniali deliberati, essendo questa vigilanza il mezzo migliore per evitare o per immediatamente riparare i peccati mortali in cui si avesse la disgrazia di cadere in un momento di sorpresa.
662. 3° Consigli al direttore. A) Il direttore vigilerà perchè i penitenti non si carichino di esercizi di pietà troppo numerosi, che verrebbero poi a nuocere all'adempimento dei doveri del loro stato, o che sarebbero di ostacolo alla vera devozione. Vale certamente meglio recitar qualche preghiera di meno ma mettervi maggior attenzione e pietà. Ce lo dice il Signore stesso: "Nelle preghiere non moltiplicate le parole come fanno i pagani, che pensano d'essere esauditi a furia di parlare. Non li imitate dunque, perchè il Padre vostro sa di che avete bisogno prima ancora che glielo domandate 662-1. E appunto allora insegnò quella breve e sostanziale preghiera del Pater, che contiene tutto ciò che possiamo chiedere, n. 515-516. Ora ci sono incipienti che facilmente pensano di essere tanto più pii quante più preghiere vocali fanno; si rammenti loro la parola del Maestro e si mostri che una preghiera attenta di dieci minuti vale più di un'altra di venti seminata di distrazioni più o meno volontarie, e sarà un grande servizio. Per aiutarli a fissar l'attenzione, si rammenti che pochi secondi impiegati a mettersi alla presenza di Dio e ad unirsi a Nostro Signore, assicureranno in modo singolare l'efficacia della preghiera.
663. B) Per le preghiere che si debbono ripetere di frequente, è utile, a schivar l'abitudine, insegnare un metodo semplice e facile onde fissar l'attenzione. Così, per esempio, quanto al Rosario, se si bada a meditarne i misteri con la doppia intenzione di onorare la SS. Vergine e di attirare in noi la virtù speciale che corrisponde al mistero, se ne trae maggior vantaggio e la recita diventa una piccola meditazione. Ma sarà anche bene far notare che non si può, ordinariamente almeno, attendere nello stesso tempo al senso letterale dell'Ave Maria e allo spirito del mistero, e che basta fissarsi o sull'uno o sull'altro.
ART. III. DELLA MEDITAZIONE 664-1.
Esporremo:
664. 1° Nozione ed elementi costitutivi. Abbiamo detto, n. 510, che vi sono due specie di preghiera: la preghiera vocale, che si esprime con parole o con gesti, e la preghiera mentale, che si fa nell'interno dell'anima. Questa si definisce: un'elevazione e una applicazione dell'anima a Dio, per porgergli i nostri doveri e diventar migliori alla sua gloria.
Abbraccia cinque elementi principali: 1) i doveri di religione che si rendono a Dio o a Nostro Signor Gesù Cristo o ai Santi; 2) considerazioni su Dio e sulle nostre relazioni con lui, per alimentare e rinvigorire le nostre convinzioni sulle virtù cristiane; 3) riflessioni sopra noi stessi per vedere a che punto siamo nella pratica delle virtù; 4) preghiere propriamente dette per chiedere la grazia necessaria a praticar meglio questa o quella virtù; 5) risoluzione per far meglio nell'avvenire. Non è necessario che questi atti seguano nell'ordine indicato nè che si facciano tutti nella stessa meditazione; ma perchè la preghiera meriti il nome di meditazione è necessario che duri un certo tempo, distinguendosi così dalle giaculatorie.
Quando le anime crescono in perfezione e hanno già convinzioni che basta rapidamente rinnovare, la meditazione si semplifica e consiste talvolta in un semplice sguardo affettuoso, come spiegheremo più tardi.
665. 2° Origine. Bisogna distinguere bene tra meditazione in sè stessa e metodi di meditazione.
A) La meditazione, sotto una forma o sotto un'altra, ci fu in ogni tempo: i libri dei profeti, i Salmi, i libri Sapienziali, sono pieni di meditazioni che alimentavano la pietà degli Israeliti; e Nostro Signore, coll'insistere sul culto in spirito e verità, col passar le notti in preghiera, col far nell'orto degli Olivi e sul Calvario lunga orazione, preparava la via a quelle anime interiori che dovevano nel corso dei secoli ritirarsi nella cella del cuore a pregarvi Dio in secreto. I libri di Cassiano e di S. Giacomo Climaco, senza parlare delle opere dei Padri, trattano esplicitamente della meditazione e dell'orazione, anche nelle sue forme più alte come la contemplazione. Si può dire che il trattato di S. Bernardo De Consideratione è in sostanza un trattato sulla necessità della riflessione e della meditazione. La Scuola di S. Vittore insiste molto sulla pratica della meditazione per giungere alla contemplazione 665-1. E si sa quanto S. Tommaso raccomandi la meditazione come mezzo di crescere nell'amor di Dio e di darsi a lui 665-2.
666. B) La meditazione poi od orazione metodica data dal quindicesimo secolo; si trova esposta nel Rosetum di Giovanni Mauburnus 666-1 e negli autori benedettini della stessa epoca. S. Ignazio, negli Esercizi Spirituali, dà parecchi metodi di meditazione molto precisi e molto vari; S. Teresa descrive meglio d'ogni altro i vari generi di orazione; e i suoi discepoli espongono le regole della meditazione metodica 666-2. S. Francesco di Sales traccia egli pure un metodo di orazione alla sua Filotea, e la Scuola Francese del secolo XVII avrà presto il suo, che l'Olier e il Tronson perfezioneranno e che oggi vien detto il metodo di S.-Sulpizio.
668. Il genere di orazione che conviene generalmente agl'incipienti è quello della meditazione discorsive, che è necessaria per acquistare o fortificarne le convinzioni. Vi sono però anime affettive che, quasi fin da principio, fanno larga parte agli affetti; tutti poi devono essere avvertiti che la parte migliore dell'orazione consiste negli atti di volontà.
§ II. Vantaggi e necessità dell'orazione.
I. Vantaggi.
669. La meditazione, quale fu da noi descritta, è utilissima all'eterna salute e alla perfezione.
1° Ci distacca dal peccato e dalle sue cause. Se pecchiamo, avviene infatti per irriflessione e fiacchezza di volontà. Ora la meditazione corregge questo doppio difetto.
a) Ci illumina sulla malizia del peccato e sui terribili suoi effetti, mostrandoceli alla luce di Dio, della eternità e di ciò che fece Gesù per espiare il peccato. "È lei, dice il P. Crasset 669-1, che ci conduce (col pensiero) in quei sacri deserti ove si trova Dio solo nella pace, nella quiete, nel silenzio e nel raccoglimento; lei che ci conduce spiritualmente nell'inferno a vedervi il nostro posto; al cimitero a vedervi la nostra dimora; in cielo a vedervi il nostro trono; nella valle di Giosafat a vedervi il nostro giudice; a Betlemme a vedervi il nostro Salvatore; sul Tabor a vedervi il nostro amore; sul Calvario a vedervi il nostro esempio". -- Ci distacca pure dal mondo e dai falsi suoi diletti; ci ricorda la fragilità dei beni temporali, gli affanni che ci procurano, il vuoto e il disgusto che lasciano nell'anima; ci rinfranca contro la perfidia e la corruzione del mondo e ci fa comprendere che Dio solo può formar la nostra felicità. -- Ci distacca specialmente da noi stessi, dalla nostra superbia, dalla nostra sensualità, mettendoci in faccia a Dio che è la pienezza dell'essere, e in faccia al nostro nulla, e mostrandoci che i sensuali diletti ci abbassano al di sotto dei bruti, mentre le gioie divine ci nobilitano e ci inalzano a Dio.
b) Ci invigorisce la volontà non solo dandoci convinzioni, come fu detto, ma guarendo a poco a poco la nostra inerzia, la nostra codardia e la nostra incostanza; infatti solo la grazia di Dio, aiutata dalla cooperazione nostra, può guarire queste debolezze. Ora la meditazione ci fa sollecitare questa grazia con tanto maggior ardore, quanto più abbiamo con la riflessione sentito la nostra impotenza; e gli atti di dolore, di contrizione e di fermo proponimento che facciamo durante la meditazione, con le risoluzioni che vi prendiamo, sono già una attiva cooperazione alla grazia.
670. 2° Ci fa pure praticar tutte le grandi virtù cristiane: 1) illumina la nostra fede, mettendoci sotto gli occhi le verità eterne; regge la nostra speranza, aprendoci l'adito a Dio per ottenerne l'aiuto; stimola la nostra carità, manifestandoci la bellezza e la bontà di Dio: 2) ci rende prudenti con le considerazioni che ci suggerisce prima di operare; giusti, conformandoci la volontà a quella di Dio; forti, facendoci partecipare alla divina potenza; temperanti calmandoci l'ardore dei desideri e delle passioni. Non vi sono dunque virtù cristiane che con la meditazione non si possano da noi acquistare: aderiamo per mezzo di lei alla verità e la verità, liberandoci dai vizi, ci fa praticar la virtù: "cognoscetis veritatem, et veritas liberabit vos" 670-1.
671. 3° Prepara così la nostra unione e anche la nostra trasformazione in Dio. È infatti una conversazione con Dio, che diventa ogni giorno più intima, più affettuosa e più lunga, perchè continua poi nel corso delle giornate anche in mezzi al lavoro, n. 522. Ora, a forza di frequentare l'autore di ogni perfezione, l'anima se ne imbeve, se ne compenetra, come la spugna che si riempie del liquido in cui viene immersa, come il ferro che, posto nella fornace, s'arroventa, si ammolisce e prende le qualità del fuoco.
II. Della necessità della meditazione.
672. 1° Per i semplici cristiani. A) La meditazione metodica è efficacissimo mezzo di santificazione, ma non è peraltro necessaria all'eterna salute pei cristiani in generale. Necessario è il pregare per porgere a Dio i nostri doveri e riceverne grazie: il che, com'è chiaro, non può farsi senza una certa attenzione della mente e un qualche desiderio del cuore. Alla preghiera bisogna pure aggiungere riflessioni sulle grandi verità e sui principali doveri cristiani con applicazione a sè stessi; ma tutto questo può farsi senza meditazione metodica, ascoltando le istruzioni parrocchiali, facendo buone letture, esaminando la propria coscienza.
673. B) È però molto utile e salutare a tutti coloro che vogliono progredire e salvarsi l'anima, tanto agl'incipienti come alle anime più avanzate; si può anzi dire che è il mezzo più efficace per assicurarsi l'eterna salute, n. 669. Tal è l'insegnamento di S. Alfonso che ne dà questa ragione: con gli altri esercizi di pietà, come il Rosario, l'ufficiolo della Madonna, il digiuno, si può purtroppo continuare a vivere in peccato mortale; ma con la meditazione non si può rimanere a lungo nel peccato grave: o si lascierà la meditazione o si rinunzierà al peccato 673-1; come può infatti uno presentarsi ogni giorni davanti a Dio, autore d'ogni santità, con la chiara coscienza di essere in istato di peccato mortale, senza prendere, con l'aiuto della grazia, la ferma risoluzione di detestare il peccato e andare a gettarsi ai piedi d'un confessore per ottenere il perdono di cui vede l'assoluta necessità? Se invece non si ha un momento fisso e un sicuro metodo per riflettere sulle grandi verità, uno si lascia trascinar dalla disperazione e dagli esempi del mondo e sdrucciola insensibilmente nel peccato.
674. 2° Morale necessità della meditazione per i sacerdoti addetti al ministero. Non parliamo qui di quei sacerdoti che, essendo religiosi e recitando il divino ufficio lentamente e piamente, possono trovare in questa recita e nelle letture e preghiere che fanno, un equivalente della meditazione. Si noti però che, anche negli Ordini in cui si recita l'ufficio in coro, la regola prescrive almeno mezz'ora di meditazione, appunto perchè si è persuasi che la preghiera mentale è l'anima delle preghiere vocali e ne assicura la fervorosa recitazione. E aggiungiamo che le Congregazioni fondate dopo il secolo XVI, insistono anche di più sulla meditazione, e che il Codice di Diritto Canonico prescrive ai Superiori di vigilare perchè tutti i religiosi, non legittimamente impediti, consacrino ogni giorno un certo tempo all'orazione mentale 674-1.
Ma parliamo qui dei sacerdoti di ministero, immersi nelle fatiche apostoliche, e diciamo che la pratica abituale della meditazione, ad ora determinata, è moralmente necessaria alla loro perseveranza e alla loro santificazione. Hanno infatti numerosi e importanti doveri da adempiere sotto pena di colpa grave, e d'altra parte sono talvolta soggetti a insistenti tentazioni nell'esercizio stesso del loro ministero.
675. A) Ora, per resistere a queste tentazioni e adempiere fedelmente e soprannaturalmente tutti i loro doveri, è necessario che abbiano profonde convinzioni e grazie particolari che ne reggano la vacillante volontà; e nella meditazione quotidiana soltanto, come tutti convengono, le une e le altre si acquistano.
Nè si dica che possono anch'essi trovar nella santa messa e nel divino ufficio equivalenti alla meditazione. La messa e il breviario, detti con attenzione e devozione, sono certamente mezzi efficaci di perseveranza e di progresso; ma l'esperienza insegna che un sacerdote, tutto occupato nelle fatiche del ministero, non compie bene questi due così importanti doveri se non attinga nell'abituale meditazione lo spirito di raccoglimento e di preghiera. Se trascura questo santo esercizio, come troverà, fra le occupazioni e l'affarìo onde è assediato, il tempo di seriamente raccogliersi e ritemprarsi nello spirito soprannaturale? E se questo non fa, viene presto assalito da numerose distrazioni anche in mezzo alle occupazioni più sante, le convinzioni gli si affievoliscono, scema l'energia, le negligenze e le debolezze aumentano, sopravviene la tiepidezza; e quando sorga tentazione grave, persistente, rabbiosa, non avendo più presenti alla mente le forti convinzioni necessarie a respingere il nemico, è esposto a soccombere 675-1. "Se fo meditazione, dice Don Chautard 675-2, sono come rivestito d'un'armatura d'accaio e invulnerabile ai dardi del nemico. Ma senza la meditazione essi mi coglieranno certamente... O meditazione o grandissimo rischio di dannazione pel sacerdote che è a contatto col mondo, dichiarava senza esitare il pio, dotto e prudente P. Desurmont, uno dei più esperimentati predicatori di esercizi spirituali agli ecclesiastici. Per l'apostolo, non c'è via di mezza tra la santità, se non acquistata almeno desiderata e cercata (sopratutto con la meditazione quotidiana), e la progressiva perversione, diceva a sua volta il Card. Lavigerie".
677. Quindi il Papa Pio X, di santa memoria, proclamò nettamente la necessità della meditazione pel sacerdote 677-1; e il Codice di Diritto Canonico prescrive ai Vescovi di vigilare affinchè i sacerdoti consacrino ogni giorno un po' di tempo all'orazione mentale "ut idem quotidie orationi mentali per aliquod tempus incumbant (can. 125, 2°); e che lo stesso facciano gli alunni del Seminario: "ut alumni Seminarii singulis diebus... per aliquod tempus mentali orationi vacent" (can. 1367, 1°). Non è questo un dichiarare in termini equivalenti la necessità morale della meditazione per gli ecclesiastici?
È dunque un non intendersi di psicologia il consigliare agli ecclesiastici, occupati nella vita parrocchiale, di metter da parte la meditazione per dire più devotamente la messa e il brevario. L'esperienza dimostra che, quando non si fa più meditazione, la recita devota dell'ufficio riesce quasi impossibile: si dice quando si può, con molte interruzioni, con la mente piena di ciò che si è sentito e di ciò che si dovrà sentire. In verità è la meditazione del mattino quella che assicura la devota celebrazione della messa e fa che uno si raccolga un tantino prima di cominciare il breviario.
§ III. Caratteri generali della meditazione degl'incipienti.
Abbiamo già detto che la meditazione degl'incipienti è principalmente discorsiva e che vi domina il ragionamento, pur lasciando un certo posto agli affetti della volontà. Ci resta da esporre:
I. Su quali argomenti debbono meditare gl'incipienti.
679. In generale debbono meditare su tutto ciò che può ispirar loro un crescente orrore del peccato, sulle cause delle loro colpe, sulla mortificazione che ne è il rimedio, sui principali doveri del loro stato, sul buon uso e sull'abuso della grazia, su Gesù modello dei penitenti.
680. 1° A concepire un orrore sempre crescente del peccato, mediteranno: a) sul fine dell'uomo allo stato soprannaturale, sulla caduta e sulla redenzione (n. 59-87); sui diritti di Dio, creatore, santificatore e redentore; su certi attributi divini che possono allontanarli dal peccato, come la sua immensità che lo rende presente a ogni creatura e soprattutto all'anima che è in istato di grazia; la sua santità che l'obbliga a odiare il peccato; la sua giustizia che lo castiga; la sua misericordia che l'inclina a perdonare. Tutte queste verità infatti tendono a farci fuggire il nemico di Dio, il distruttore della vita soprannaturale largitaci da Dio come il grande segno del suo amore e dal Redentore restituitaci a prezzo del suo sangue.
b) Sul peccato: la sua origine, il suo castigo, la sua malizia, i suoi terribili effetti, (n. 711-735); sulle cause che conducono al peccato, la concupiscenza, il mondo e il demonio, n. 193-227.
c) Sui mezzi di espiare e di prevenire il peccato, la penitenza, n. 705, e la mortificazione delle varie nostre facoltà, delle nostre tendenze viziose e soprattutto dei sette peccati capitali, traendone questa conclusione pratica che non si può star sicuri fino a che queste viziose inclinazioni non siano state estirpate o almeno padroneggiate: tratteremo presto di tutte queste questioni.
681. 2° Bisogna pure meditare a mano a mano su tutti i doveri positivi del cristiano: 1) doveri generali di religione verso Dio, di carità verso il prossimo, di giusta diffidenza di noi stessi per ragione della nostra impotenza e delle nostre miserie: un incipiente rimarrà specialmente impressionato da ciò che è esterno in queste virtù; il che peraltro servirà di preparazione alle virtù più sode che praticherà poi nella via illuminativa; -- 2) doveri particolari riguardanti l'età, la condizione, il sesso, lo stato di vita: la pratica di questi doveri è infatti la migliore delle penitenze.
682. 3° Essendo capitale nella vita cristiana la parte della grazia, sarà necessario iniziare a poco a poco gl'incipienti a ciò che nella vita cristiana è fondamentale, adattando ad essi ciò che dicemmo dell'abitazione dello Spirito Santo nell'anima, della nostra incorporazione a Cristo, della grazia abituale, delle virtù e dei doni. Da principio non capiranno certamente che i primi elementi di queste grandi verità, ma il poco che ne intenderanno avrà grandissima efficacia sulla loro formazione e sul loro progresso spirituale; solo quando si medita su ciò che Dio ha fatto e non cessa di fare per noi, uno si sente portato ad essere più generoso nel divino servizio. Non dimentichiamo che S. Paolo e S. Giovanni predicavano queste verità ai pagani convertiti, i quali erano anch'essi incipienti nella via spirituale.
II. Delle difficoltà che incontrano gl'incipienti.
Le difficoltà speciali che gl'incipienti trovano nella meditazione vengono dalla loro inesperienza, dal difetto di generosità e principalmente dalle numerose distrazioni a cui vanno soggetti.
684. A) L'inesperienza li espone a convertir la meditazione in una specie di tesi filosofica o teologica, o in una specie di predica che fanno a se stessi. Anche così non è tempo perduto, perchè, in fin dei conti, questo modo di meditare li fa riflettere sulle grandi verità e ne rinsalda le convinzioni. Tuttavia ne caverebbero maggior profitto procedendo in modo più pratico e più soprannaturale.
685. B) Il difetto di generosità li espone a disanimarsi quando non sono sorretti dalle consolazioni sensibili che Dio aveva graziosamente concesso da principio per attirarli a sè; le difficoltà e le prime aridità li abbattono, e credendosi abbandonati da Dio, piegano al rilassamento. Bisogna persuaderli che Dio chiede non la buona riuscita ma lo sforzo, che il merito della preghiera è tanto maggiore quanto più vi si persevera a dispetto delle difficoltà che vi si provano, e che, attesa la tanta generosità di Dio verso di noi, è viltà indietreggiare davanti allo sforzo. Questo linguaggio sarà temperato da grande dolcezza nel modo di rammentar queste verità e accompagnato da molti paterni incoraggiamenti.
686. C) Ma l'ostacolo più grande viene dalle distrazioni: non essendo ancora l'immaginazione, la sensibilità e gli affetti sul principio ben padroneggiati, le immagini profane e talora pericolose, i pensieri inutili e i diversi movimenti del cuore invadono l'anima nel momento della meditazione. Anche qui è di somma importanza l'ufficio del direttore.
a) Richiamerà fin da principio la distinzione tra distrazioni volontarie 686-1 e involontarie e inviterà il suo diretto a non occuparsi che delle prime per diminuirne il numero. Per riuscirvi: 1) bisogna cacciare prontamente, energicamente e costantemente le distrazioni, appena se ne ha coscienza; per numerose o pericolose che siano, sono colpevoli solo quando uno ci si trattiene volontariamente; chi si sforza di cacciarle fa atto grandemente meritorio: se tornano venti volte all'assalto e venti volte le respingiamo, avremo fatto ottima meditazione, assai più meritoria di quella in cui, sorretti dalla grazia di Dio, ne abbiamo avuto molto poche.
687. 2) Per cacciarle meglio, è bene confessare umilmente la propria impotenza, unirsi positivamente a Nostro Signore offrendone a Dio le adorazioni e le preghiere. -- Occorrendo, si potrà far uso di qualche libro per fissar meglio l'attenzione.
b) Ma non basta cacciar le distrazioni per diminuirne il numero, bisogna prendere di mira le cause. Ora molte distrazioni provengono da mancanza di preparazione o da abituale dissipazione. 1) Si inviteranno quindi a preparar meglio la meditazione fin dalla sera precedente, non contentandosi d'una semplice lettura ma addentrandovisi e vedendo in che modo l'argomento può diventar pratico per loro in cambio di abbandonarsi a fantasticherie inutili o pericolose. 2) Ma soprattutto si indicheranno loro quei mezzi di disciplinare la fantasia e la memoria di cui presto diremo. Infatti quanto più l'anima progredisce nella pratica del raccoglimento e dell'abituale distacco, tanto più diminuiscono le distrazioni. Il che del resto vedremo anche meglio studiando i metodi di meditazione.
§ IV. Dei principali metodi di meditazione.
688. Essendo la meditazione un'arte difficile, i Santi diedero sempre volentieri molteplici consigli sui mezzi di riuscirvi: di ottimi se ne trovano in Cassiano, in S. Giovanni Climaco e nei principali scrittori spirituali. Ma solo verso il secolo XV vennero elaborati i metodi propriamente detti che guidarono da allora in poi le anime nelle vie dell'orazione.
Questi metodi paiono a primo aspetto alquanto complessi, onde è bene prepararvi gl'incipienti con ciò che si può chiamare lettura meditata. Si consigliano a leggere qualche libro di pietà, come sarebbe il primo libro dell'Imitazione, il Combattimento spirituale o un libro di meditazioni brevi e sostanziose; e si suggerisce loro di farsi dopo la lettura le tre seguenti domande: 1) Sono proprio convinto che ciò che ora ho letto è utile o necessario al bene dell'anima mia? e in che modo posso rafforzare questa convinzione? 2) Ho finora ben praticato questo punto tanto importante? 3) Che farò per praticarlo meglio quest'oggi? Aggiungendovi un'ardente preghiera per ben praticar la presa risoluzione, si avranno tutti gli elementi essenziali d'una vera meditazione.
I. Punti comuni a tutti i metodi.
Ci sono nei vari metodi certi punti comuni che devono essere ben rilevati, perchè si tratta, com'è chiaro, delle cose più importanti:
689. 1° C'è sempre una preparazione remota, una preparazione prossima, e una preparazione immediata.
a) La preparazione remota non è altro che uno sforzo per mettere la vita che uno abitualmente conduce in armonia con la meditazione. Abbraccia tre cose: 1) la mortificazione dei sensi e delle passioni; 2) il raccoglimento abituale; 3) l'umiltà. Sono queste infatti ottime disposizioni a pregar bene: da principio non si hanno che imperfettamente, ma basta perchè si possa meditar con qualche frutto; più tardi si perfezioneranno a mano a mano che si progredirà nella meditazione.
b) La preparazione prossima abbraccia tre atti principali: 1) leggere o ascoltare, la sera precedente, il soggetto della meditazione; 2) pensarvi allo svegliarsi eccitando il cuore a sentimenti corrispondenti; 3) accingersi a meditare con ardore, fiducia ed umiltà, nel desiderio di glorificar Dio e divenir migliori. L'anima si trova così ben disposta a conversar con Dio.
c) La preparazione immediata, che è in sostanza il principio della meditazione, consiste nel mettersi alla presenza di Dio, presente da per tutto e principalmente nel nostro cuore; nel riconoscersi indegni e incapaci di meditare; e nell'implorare l'aiuto dello Spirito Santo che supplisca alla nostra insufficienza.
690. 2° Anche nel corpo della meditazione i vari metodi contengono, più o meno esplicitamente, gli stessi atti fondamentali:
a) atti per porgere alla Divina Maestà i doveri di religione che le sono dovuti;
b) considerazioni per convincersi della necessità o della grandissima utilità della virtù che si vuole acquistare, a fine di chiedere con più fervida preghiera la grazia di praticarla e di risolvere la volontà a fare gli sforzi necessari per cooperare alla grazia;
c) esami o riflessioni sopra sè stessi per rilevar le proprie mancanze su quel punto e vedere la via che resta a percorrere;
d) preghiere o dimande per ottenere la grazia di progredire in tale virtù e di prendere i mezzi necessarii a questo scopo;
e) risoluzioni con cui si fissa di praticare, già nella giornata, la virtù su cui si è meditato.
691. 3° La conclusione, che chiude la meditazione, abbraccia insieme: 1) un ringraziamento per i benefici ricevuti; 2) uno sguardo sul come si è fatta la meditazione a fine di farla meglio il giorno seguente; 3) un'ultima preghiera per chiedere la benedizione del Padre celeste; 4) la scelta d'un pensiero o di una massima efficace che richiami nel corso del giorno l'idea principale della meditazione e che viene comunemente detto mazzolino spirituale.
I vari metodi si possono ridurre a due principali: il metodo di S. Ignazio e il metodo di S.-Sulpizio.
II. Il metodo di S. Ignazio 692-1.
692. Negli Esercizi Spirituali, S. Ignazio propone parecchi metodi di meditazione, secondo gli argomenti su cui si medita e i risultati che si vogliono ottenere. Il metodo che è generalmente più conveniente agl'incipienti è il metodo delle tre potenze, che si chiama così perchè vi si esercitano le tre principali facoltà: la memoria, l'intelletto e la volontà. Si trova esposto nella prima settimana a proposito della meditazione sul peccato.
693. 1° Principio della meditazione. Comincia con una preghiera preparatoria, con cui si chiede a Dio che tutte le nostre intenzioni ed opere siano unicamente rivolte al servizio e alla lode della Divina Maestà: ottima direzione d'intenzione.
b) Il secondo preludio "sarà di chiedere a Dio ciò che voglio e desidero, per esempio la vergogna e la confusione di me stesso" alla vista dei miei peccati. Il fine pratico, la risoluzione, apparisce chiaramente fin da principio: in omnibus respice finem.
694. 2° Il corpo della meditazione consiste nell'applicazione delle tre potenze dell'anima (la memoria, l'intelletto e la volontà) a ogni punto della meditazione. Si applica per ordine ognuna delle potenze a ognuno dei punti, tranne che un punto solo porga materia sufficiente per tutta la meditazione. Non è però necessario fare in ogni meditazione tutti gli atti indicati: è bene fermarsi agli affetti e ai sentimenti suggeriti dal soggetto.
b) L'esercizio dell'intelletto consiste nel riflettere più in particolare sullo stesso argomento. S. Ignazio non dà altre spiegazioni, ma vi supplisce il P. Roothaan, osservando che il dovere dell'intelletto è di riflettere sulle verità proposte dalla memoria, di applicarle all'anima e ai suoi bisogni, di trarne conseguenze pratiche, di pesare i motivi delle nostre risoluzioni, di considerare in qual modo abbiamo finora conformato la condotta alle verità che meditiamo e come dobbiamo farlo in appresso.
c) La volontà ha due doveri da adempiere: esercitarsi in pii affetti e far buone risoluzioni. 1) Gli affetti devono certamente diffondersi per tutta la meditazione o essere almeno molto frequenti, perchè son essi che fanno della meditazione una vera preghiera; ma bisogna moltiplicarli soprattutto verso la fine della meditazione. Non occorre affannarsi di come esprimerli: i modi più semplici sono sempre i migliori. Quando ci sentiamo compresi da un buon sentimento, è bene nutrirlo quanto più è possibile, fino a che la nostra devozione sia soddisfatta. 2) Le risoluzioni saranno pratiche, atte a migliorare la vita, e quindi particolari, appropriate allo stato presente, possibili a eseguirsi lo stesso giorno, fondate su ragioni sode, umili e quindi accompagnate da preghiere per ottenere la grazia di metterle in pratica.
695. 3° Viene infine la conclusione, che comprende tre cose: la ricapitulazione delle diverse risoluzioni già prese; pii colloqui con Dio Padre, con Nostro Signore, colla SS. Vergine o con qualche Santo; finalmente la rivista della meditazione, ossia l'esame sul come si è meditato, per rilevarne le imperfezioni e rimediarvi.
696. Utilità di questo metodo. Come si vede, questo metodo è pienamente psicologico e praticissimo. a) Prende tutte le facoltà, compresa l'immaginazione, e le applica per ordine all'argomento della meditazione, portandovi così una certa varietà, onde una stessa verità viene considerata sotto i suoi diversi aspetti, è voltata e rivoltata nella mente per ben compenetrarsene, per acquistar convinzioni e soprattutto per trarne conclusioni pratiche per quello stesso giorno.
b) Pur insistendo sulla importante parte della volontà, che si risolve con cognizione di causa dopo che furono ben ponderati i vari motivi, non trascura la parte della grazia, perchè viene istantemente chiesta fin da principio e vi si ritorna nei colloqui.
c) È particolarmente adatto agli incipienti; perchè fissa, fin nei minimi particolari, ciò che bisogna fare dalla preparazione alla conclusione, e serve di filo conduttore perchè le facoltà non si sviino. Non suppone del resto profonda conoscenza del domma ma quella soltanto che ce ne dà il catechismo, onde s'adatta ai semplici fedeli.
d) Conviene però anche, semplificato che sia, alle anime più progredite; chi infatti si contenti delle grandi linee tracciate da S. Ignazio senza entrare in tutti i particolari aggiunti dal Padre Roothaan, può facilmente convertirlo in orazione affettiva, che lascerà larga parte alle ispirazioni della grazia. Tutto sta a sapersene sapientemente servire sotto la savia guida d'un esperto direttore.
e) Gli si fece talora appunto di non dare abbastanza posto a N. S. Gesù Cristo. Infatti nel metodo delle tre potenze non se ne parla che di passaggio; ma vi sono altri metodi insegnati da S. Ignazio, specialmente la contemplazione dei misteri e l'applicazione dei sensi, ove Nostro Signore diviene oggetto principale della meditazione 696-1.
Or nulla vieta agl'incipienti di servirsi dell'uno o dell'altro metodo. L'appunto è quindi infondato, chi voglia intieramente seguire i metodi ignaziani.
III. Il metodo di S.-Sulpizio 697-1.
697. A) Origine. Sorto dopo parecchi altri, questo metodo se ne giovò per i particolari, ma l'idea madre e la grandi linee vengono dal Card. di Berulle, dal P. di Condren, e dall'Olier; gli accessori sono del Tronson.
a) L'idea madre è l'unione e l'adesione al Verbo Incarnato, per porgere a Dio gli atti di religione che gli sono dovuti e ritrarre nell'anima le virtù di Gesù Cristo.
Tali sono le grandi linee che si trovano in Berulle, Condren e Olier.
698. Le aggiunte completive del Tronson. Ma è chiaro che queste grandi linee, se bastano per le anime progredite, sarebbero state insufficienti per gl'incipienti. Fu cosa presto rilevata nel Seminario di S.-Sulpizio, onde, pur conservando lo spirito e gli elementi essenziali del metodo primitivo, il Tronson aggiunse al secondo punto (comunione) le considerazioni e le riflessioni sopra sè stesso così indispensabili agl'incipienti; quando si è convinti dell'importanza e della necessità d'una virtù, e quando si vede chiaramente che ci manca, si chiede con molto maggior fervore, umiltà e costanza. Resta quindi che, in questo metodo, si insiste, anche per gl'incipienti, sulla preghiera come elemento principale. È questo il motivo per cui il terzo punto si chiama cooperazione, per rammentarci che le nostre risoluzioni sono più effetto della grazia che della nostra volontà, ma che d'altra parte la grazia non fa nulla in noi senza la nostra cooperazione, e che nel corso del giorno dobbiamo collaborare con Gesù Cristo sforzandoci di ricopiare la virtù su cui abbiamo meditato.
699. B) Compendio del metodo. Il seguente quadro sinottico darà una sufficiente idea del metodo. Lasciamo da parte la preparazione remota, che è la stessa di quella esposta al n. 689.
700. C) Caratteristiche di questo metodo. a) Si fonda sulla dottrina della nostra incorporazione a Cristo (n. 142-149) e sull'obbligo che ne risulta di ricopiarne in noi le interne disposizioni e le virtù. Per riuscirvi, dobbiamo, secondo l'espressione dell'Olier, aver Gesù davanti agli occhi, per ammirarlo come modello e porgergli i nostri doveri (adorazione); averlo nel cuore, attirandone in noi con la preghiera le disposizioni e le virtù (comunione); averlo nelle mani, collaborando con lui a imitarne le virtù (cooperazione). Anima dunque di questo metodo è l'unione intima con Gesù.
b) Antepone il dovere della religione (riverenza e amore di Dio) a quello della dimanda; il primo servito dev'esser Dio! E il Dio che ci mette innanzi non è il Dio astratto dei filosofi, ma il Dio concreto e vivente del Vangelo; è la SS. Trinità che vive in noi.
c) Proclamando la necessità della grazia e dell'umana volontà nella nostra santificazione, dà risalto alla grazia e quindi alla preghiera, ma richiede pure l'energico e costante sforzo della volontà e risoluzioni particolari, attuali, frequentemente rinnovate, su cui si ha poi da far l'esame la sera.
701. d) È metodo affettivo appoggiato su considerazioni: comincia con affetti di religione nel primo punto; nel secondo si fanno considerazioni per indurre il cuore ad atti di fede nelle verità soprannaturali che si meditano, atti di speranza nella divina misericordia, atti di amore all'infinita sua bontà; la riflessione sopra sè stesso dev' essere accompagnata da dispiacere del passato, da confusione del presente, da fermo proposito per l'avvenire; e questi atti mirano a preparare una dimanda umile, fiduciosa e perseverante. A prolungar questa dimanda il metodo offre vari motivi esposti in disteso, e suggerisce di pregar pure per tutta la Chiesa e per certe anime in particolare. Le risoluzioni stesse devono essere accompagnate da diffidenza di sè, da confidenza in Gesù Cristo, da preghiere per osservarle. La conclusione poi non è che una serie di atti di riconoscenza, d'umiltà e di nuove preghiere.
Così si schiva di dare una piega troppo filosofica ai ragionamenti o alle considerazioni, e si prepara la via all'orazione affettiva ordinaria, e più tardi all'orazione semplificata; si avverte infatti che non è necessario esprimere sempre tutti e in quest'ordine i nostri doveri, ma che è bene "abbandonarsi agli affetti che Dio dà e ripetere spesso quelli a cui uno si sente attirato dallo Spirito Santo". È vero che gl'incipienti generalmente impiegano maggior tempo nei ragionamenti che negli altri atti, ma il metodo ricorda loro continuamente che sono preferibili gli affetti, e a poco a poco riescono a farne di più.
e) È specialmente adatto ai Seminaristi e ai sacerdoti; perchè rammenta continuamente che, essendo il sacerdote un altro Gesù Cristo pel carattere e pei poteri, dev'esserlo pure per le disposizioni e per le virtù, e che tutta la loro perfezione consiste nel far vivere e crescere dentro di sè Gesù Cristo "ita ut interiora ejus intima cordis nostri penetrent".
702. Ottimi sono dunque questi due metodi, ognuno nel suo genere, atteso il fine speciale a cui mirano; e si può dir lo stesso di tutti gli altri che si avvicinano più o meno a questo doppio tipo 702-1. È bene che ve ne siano parecchi, affinchè ogni anima possa scegliere, col consiglio del direttore e secondo le sue inclinazioni soprannaturali, quello che meglio le si conviene.
Aggiungiamo col P. Poulain 702-2 che avviene di questi metodi quello che delle tante regole della retorica e della logica; è bene addestrarvi gl'incipienti; ma, praticati che siansi in modo da possederne bene lo spirito e gli elementi principali, non si segue più il metodo che nelle sue grandi linee, e l'anima, senza cessare d'essere attiva, diventa più attenta ai movimenti dello Spirito Santo.
CONCLUSIONE: EFFICACIA DELLA PREGHIERA PER LA PURIFICAZIONE DELL'ANIMA.
703. Dal fin qui detto è facile conchiudere quanto utile e necessaria sia la preghiera alla purificazione dell'anima. a) Nella preghiera-adorazione, si porgono a Dio i debiti ossequi, si ammirano, si lodano, si benedicono le infinite sue perfezioni, la santità, la giustizia, la bontà, la misericordia; allora Dio amorosamente si piega verso di noi per perdonarci, per farci concepire un profondo orrore del peccato che l'offende e premunirci così contro nuove colpe. b) Nella preghiera-meditazione acquistiamo, sotto l'influsso dei lumi divini e delle nostre riflessioni, profonde convinzioni sulla malizia del peccato, sui terribili suoi effetti in questa vita e nell'altra, sui mezzi di ripararlo e di schivarlo: allora l'anima si riempie di sentimenti di confusione, d'umiliazione, di odio del peccato, di fermo proponimento di evitarlo, d'amor di Dio: a questo modo i peccati passati vengono sempre più espiati nelle lacrime della penitenza e nel sangue di Gesù; la volontà si rinsalda contro i minimi traviamenti e abbraccia con generosità la pratica della penitenza e della rinunzia. c) La preghiera-dimanda, appoggiata sui meriti di Nostro Signore, ci ottiene copiose grazie d'umiltà, di penitenza, di fiducia e d'amore, che danno l'ultima mano alla purificazione dell'anima, la rafforzano contro le tentazioni dell'avvenire e la rassodano nella virtù, massimamente nelle virtù della penitenza e della mortificazione, che compiono i buoni effetti della preghiera.
704. Avviso ai direttori. Non si raccomanderà dunque mai abbastanza la meditazione a tutti coloro che vogliono progredire, e il direttore ne deve insegnar la pratica il più presto possibile, farsi render conto delle difficoltà che vi incontrano, aiutarli a vincerle, mostrare come possono perfezionarne il metodo, e soprattutto come possono servirsene per correggersi dei difetti, praticare le opposte virtù, e acquistare a poco a poco lo spirito di preghiera, che, con la penitenza, ne trasformerà l'anima.
645-1 Joann., XV, 5;
II Cor., III, 5;
Phil., II, 13.
645-2 Matth., VII, 7-8.
645-3 Matth., XXVI, 41.
645-4 Sum. Theol., IIª IIæ, q. 83, a. I, ad 3.
646-1 Sess. VI, c. II.
646-2 "Quas preces tamquam instrumentum necessarium nobis dedit ad id quod optaremus consequendum; præsertim cum quædam esse constet quæ nisi ejus adjumento non liceat impetrare". (Cat. Trident., P. IV, c. I, 3).
648-1 Rom., VIII, 26.
649-1 Matth., VI, 33.
650-1 Amor di Dio, l. VIII, c. IV.
650-2 Ciò che fa, dice Bourdaloue (Quaresimale, giovedì della prima settimana, sulla preghiera) che noi non siamo esauditi, è che ci serviamo della preghiera "per domandare grazie chimeriche, grazie superflue, grazie di nostro gusto e secondo le nostre false idee... Noi preghiamo e domandiamo grazie di penitenza, grazie di santificazione, ma grazie per l'avvenire e non pel presente; grazie che tolgano tutte le difficoltà, e che non ci lascino sforzi da fare ed ostacoli da vincere; grazie miracolose che ci trascinino come S. Paolo, e non grazie che ci dispongano a poco a poco, e con le quali noi siamo obbligati a camminare... grazie insomma che cambino tutto l'ordine della Provvidenza, e che rovescino tutta l'economia della salute.
650-3 Nel "Saint Abandon" di Dom V. Lehodey, P. III, si troveranno osservazioni particolari molto savie su questo soggetto.
651-1 Gen., XVIII, 27.
651-2 Dan., IX, 18.
651-3 Luc., XVIII, 13.
651-4 Jac., IV, 6.
652-1 Ps. XC, 14-15. Chi recita l'ufficio divino sa che il sentimento che predomina nei Salmi è la fiducia in Dio.
652-2 Matth., VII, 7-11.
652-3 Joan., XIV, 13-14.
652-4 Joan., XVI, 26-27.
653-1 Matth., XV, 24-28.
654-1 Ps. V, 2-3.
654-2 Matth. XV, 8.
662-1 Matth. VI, 7-8.
664-1 Giov. Mauburnus, Rosetum exercitiorum spiritualium et sacrarum meditationum;
Garcia de Cisneros, Exercitatorio de la vida espiritual;
S. Ignazio, Exercitia spiritualia, con i vari suoi commentatori e la Bibliothèque des Exercises de S. Ignace pubblicata sotto la direzione del P. Watrigant;
Rodriguez Pratica della perfezione cristiana, Tr. V, Dell'orazione;
L. di Granata, Trattato dell'orazione e della meditazione;
A. Massoulié, Tr. de la véritable oraison;
S. Pietro d'Alcantara, La oracion y meditacion;
S. Fr. di Sales, La Filotea, P. I., c. I-IX;
Brancati de Laurea, De oratione christiana;
Crasset, Instructions familières sur l'oraison mentale;
Scaramelli, op. cit., tr. I, a. 5;
Courbon, Instruc. famil. sur l'oraison mentale;
V. Libermann, Ecrits spirit., p. 89-147;
Faber, I Progressi dell'anima, c. XV;
R. de Maumigny, Pratique de l'oraison mentale, t. I;
Dom Vital Lehodey, Le vie dell'orazione mentale, P. I e II (Marietti, Torino);
G. Letourneau, La méthode d'oraison mentale de S.-Sulpice.
665-1 Cfr. Ugo da S. Vittore, De modo dicendi et meditandi; De meditando seu meditandi artificio, P. L. CLXXVI, 877-880; 993-998.
665-2 Sum. theol. IIª IIæ, q. 82, a. 3.
666-1 H. Watrigant, La méditation méthodique, nella Rev. d'Ascétique et de Mystique, Gen. 1923, p. 13-29.
666-2 V. P. Giov. di Gesù Maria, Instructions des novices, P. 3ª, c. II, § 2.
669-1 Instructions sur l'oraison, Méthode d'oraison, c. 1, p. 253-254.
670-1 Joan., VIII, 32.
673-1 "Cum reliquis pietatis operibus potest peccatum consistere, sed non possunt cohabitare oratio et peccatum: anima aut relinquet orationem aut peccatum... Aiebat quidam servus Dei quod multi recitant rosarium, officium Virginis Mariæ, jejunant et in peccatis vivere pergunt; sed qui orationem non intermittit, impossibile est ut in Dei offensa vitam prosequatur ducere..." (Praxis confessarii, n. 122 et 217).
674-1 Can. 595: "Curent superiores ut omnes religiosi... legitime non impediti quotidie Sacro intersint, orationi mentali vacent."
675-1 Si meditino bene queste parole d'un sacerdote, riferite da Don Chautard, l'Anima dell'Apostolato, p. 73: "Nel dedicarmi agli altri, trovai la mia rovina. Le mie disposizioni naturali mi facevano provar gioia nel darmi altrui, felicità nel rendere servizi. Aiutato dall'apparente buona riuscita delle mie imprese, Satana per lunghi anni mise tutto in opera per illudermi, per eccitare in me il delirio dell'azione, per disgustarmi di ogni lavoro interiore e trascinarmi finalmente nel precipizio". Quanto quest'ottimo autore dice della necessità della vita interiore, s'applica perfettamente all'orazione, che è uno dei mezzi più efficaci per coltivar questa vita.
675-2 Ibid. p. 178-179.
677-1 Exhortatio ad clerum catholicum, 4 Agosto 1908.
686-1 Le distrazioni sono volontarie in sè quando si vogliono deliberatamente, -- o quando, accorgendosi che la fantasia divaga, non si fa nulla per reprimerne i traviamenti; volontarie nella loro causa quando si prevede che la tal lettura od occupazione appassionante, del resto inutile, diventerà fonte di distrazioni, eppure uno ci si abbandona lo stesso.
692-1 Esercizi spirituali, Iª Sett., Iº esercizio, trad. Jennessaux; cfr. P. Roothaan, De la manière de méditer, selon les Exercices.
696-1 Li esporremo trattando della via illuminativa.
697-1 G. Letourneau, La méthode d'oraison mentale du Sém. de S.-Sulpice, Parigi, 1903, in particolare l'Appendice, p. 331-332.
702-1 Additiamo specialmente il metodo di S. Fr. di Sales, La Filotea, P. II, c. II-VII; quello dei Carmelitani Scalzi, Instruction des novices, del V. P. G. di Gesù-Maria, P. III, c. II; quello dei Cistercensi riformati, Directoire spirituel, di Dom Lehodey, 1910, sez. V, c. IV; quello dei Domenicani, L'Istruzione dei Novizi, del P. Cormier (Marietti, Torino).
702-2 Etudes, 20 Marzo 1898, p. 782, nota 2.
Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@gmail.com>.
Ultima revisione: 28 gennaio 2006.